
La bella Floor van Welie, 36 anni, un esempio di come è possibile tramutare la sofferenza in coraggio, in altruismo. Una vita degna di essere vissuta per le scintille di luce che sa darti in certi momenti; imparando a riconoscerle, imparando a trarne motivo di forza e serenità. Nonostante tutto.
Quante volte ci siamo chiesti che senso ha la vita, e, nei momenti bui, tristi, drammatici, che senso ha di continuare a viverla; se ne vale sempre e comunque la pena. Soprattutto dove devi cercare quella luce che ti guidi fuori da quel maledetto tunnel, dandoti una nuova speranza per il futuro. A queste domande ha cercato di dare una risposta un bel programma mandato in onda dall’emittente olandese NPO, il cui titolo è “Over leven” (“Sulla vita”). Volendo fare un gioco di parole… se si scrive “overleven” tutto attaccato, significa “sopravvivere.”
Questa trasmissione è prodotta da “Human”. Infatti si basa principalmente proprio sull’umanesimo di pensatori e filosofi come, in riferimento ai Paesi Bassi, Erasmus, Spinoza, lo scienziato teologo Dirck Coornhert, i quali, indipendentemente dalla fede religiosa, puntavano sulla necessità e responsabilità individuale che ognuno deve assumersi nella vita. Cercando di renderla il più possibilmente felice; puntando sopratutto su valori importanti come quelli della giustizia, della rettitudine, dello sviluppo dei propri talenti. Ma non egoisticamente, concentrati su se stessi, bensì tenendo conto degli altri esseri umani parte integrante con noi, come noi, di una società che deve essere fondata su principi di fratellanza, aiuto reciproco, sostegno reciproco.

Il giornalista, scrittore, produttore Coen Verbraak, con un libro ispirato al suo programma televisivo di gran successo che ha lo stesso titolo, imperniata sul senso della vita e la necessità di trovare uno scopo al nostro esistere.
Il presentatore di “Over leven” è un giornalista di gran spessore, Coen Verbraak. Lui stesso, da giovane, soprattutto dopo un ricovero in ospedale, cominciò a porsi tante domande sull’esistenza, sulla ricerca di quello che nella sua trasmissione definisce “ il piccolo punto di luce” capace di indicarti la strada per continuare il tuo percorso di vita senza lasciarti sopraffare dalle pene che inevitabilmente ne fanno parte. E, come ogni bravo giornalista degno di tale nome, se credi in un principio di vita e se accade un evento da raccontare, devi prima di tutto informare, basandoti su dati certi e documentati; poi intervistare persone che possano raccontare la loro storia a testimonianza di quanto reputi importante comunicare. In modo che il lettore o il telespettatore si formino la loro idea, sviluppino il loro pensiero, riflettano su fatti concreti.
Nella nuova stagione 2025 di “Over leven” Coen Verbraak ha intervistato 8 persone che nel corso della loro vita sono state colpite e hanno superato terribili tragedie. Per esempio un uomo sopravvissuto ad un naufragio in Indonesia, rimasto in acqua 40 ore con altri compagni di viaggio, in mezzo a pesci pronti a cibarsi di loro.
Poi il raccondo di una donna che quando aveva 14 anni fu vittima di sua madre, affetta dalla sindrome di Münchhausen, una grave forma di maltrattamento infantile per cui si fa ammalare il proprio figlio per poter ricevere attenzioni. La povera bambina continuava a star male, finì anche sulla sedia a rotelle, ci volle del tempo per capire che la causa di tutto questo era sua mamma. Drammi che ti lasciano senza fiato per la crudeltà dell’atto delittuoso.
E di nuovo torna impellente la domanda a cui vorremmo dare subito una risposta: come è possibile sopravvivere a tutto questo?
Il programma è stato registrato nel grande Museo di storia naturale “Artis-Groote Museum di Amsterdam”, che vi consiglio di visitare se vi trovate in questa città.

Nella seconda puntata il giornalista Verbraak ha intervistato Floor van Welie, che già all’età di 11 anni tentò il suicidio, a soli 20 anni chiese l’eutanasia. Chi legge i miei articoli sa che da circa 30 anni scrivo su questo tema, ancor prima che nei Paesi Bassi fosse approvata in Parlamento una legge di regolamentazione dell’eutanasia e suicidio assistito, il 1 aprile 2002. Una pratica che, ci tengo a precisarlo ancora una volta, rende questa pratica ancora punibile; concessa solo in alcuni casi, fra cui quello di “sofferenze insopportabili che non abbiano prospettive di miglioramento” e dopo il parere positivo di più medici specialisti.
Durante l’intervista, condotta con molta empatia e delicatezza da Coen Verbraak, Floor ha raccontato che a 11 anni era infelice, sempre arrabbiata, non voleva più vivere. Oppressa proprio da quel malessere esistenziale che purtroppo l’aveva colpita così presto. Da quel momento la sua vita fu un continuo passare da un ricovero all’altro (anche per tentativi di suicidio), così giovane! Già dipendente da farmaci contro la depressione.
Floor ricorda con tristezza quando venne ricoverata al pronto soccorso in quanto di colpo aveva preso le sue medicine tutte in una volta. Non erano di per sè pericolose ma naturalmente dovevano accompagnarla al pronto soccorso. Quando l’infermiera le disse che avrebbe dovuto attirare l’attenzione in un altro modo, il concetto di “chiedere attenzione” ebbe un suono negativo per lei. Come se chiedere l’attenzione per le sue sofferenze evidentemente non fosse possibile…
“Io mi sentivo veramente infelice per le mie pene e non trovavo nessun’altra maniera per manifestarlo”, ha detto durante l’intervista. “Adesso provo sempre a spiegare alle persone che è importante aiutare i bambini proprio facendo capire loro che certamente debbono chiedere attenzione per i loro problemi. La maniera con cui lo facevo io, con l’automutilazione, era dannosa. Ma non conoscevo un altro modo. Penso che allora presi quelle pillole per testimoniare che veramente volevo morire. Era un segnale rivolto ai miei genitori. Ma per me, per il mio sentire, fu una maniera per dirmi che non potevo mandare dei segnali…”
Per questo motivo in seguito Floor chiese l’eutanasia; che le fu negata. Le dissero che prima doveva provare altre strade “alternative”, affrontare un ulteriore ricovero con nuove medicine nella speranza che potessero aiutarla. Quella speranza si avverò! E Floor decise di non morire più, rinunciando all’eutanasia. In seguito iniziò a lavorare come pedagoga al Centro di salute mentale GGZ, aiutando lei stessa le persone sofferenti dello stesso male di vivere e di disturbi psichiatrici.

Floor van Welie. La forza di un sorriso.
Vorrei ringraziare Coen Verbraak ed il suo programma “Human” per averci fatto conoscere questa bella, intelligente ragazza, dolce e sensibile, che ha capito quanto sia importante non lasciarsi sopraffare dal dolore ma cercare, appunto, “quel punto di luce” che ridia un senso alla vita.
Non posso tralasciare di ricordare che purtroppo sua sorella Jozien non ce l’ha fatta. Da giovane le era stato diagnosticato un disturbo pervasivo della personalità. A 30 anni ha smesso di lottare contro questo male e dopo il lungo tragitto richiesto dalla legge, ha ottenuto l’eutanasia. Floor le è rimasta accanto sino all’ultimo. Nella speranza che potesse “darsi più tempo”, che seguisse il suo esempio. Ma invano.
Prima di passare alla mia intervista a Floor vorrei mandare a sua sorella Jozien, a tutti i giovani, a tutti coloro che non hanno trovato su questa terra quella “piccola luce” di speranza necessaria per uscire dal buio profondo che li aveva avvolti, il mio, il nostro più grande abbraccio pieno di amore; un immenso abbraccio che voli in alto, per raggiungerli dove si trovano ora.
Floor, che cosa l’ha convinta a non seguire più il tragitto per ottenere l’eutanasia?
Per prima cosa, e questa è anche la prima razionale spiegazione, ho dovuto realizzare il fatto che per la nostra legge non sarei entrata a far parte del gruppo di persone che possono ottenerla. In quanto la legge olandese rende possibile l’eutanasia per persone con disturbi psichici solo se vengono rispettate regole molto severe. Durante un colloquio con uno specialista medico che doveva valutare la mia richiesta arrivai alla conclusione che la mia sofferenza non era sufficientemente senza speranza. Non solo a livello di valutazione di legge ma soprattutto in quanto c’erano ancora più possibilità di cure, di altre terapie che non avevo ancora provato. Ero comunque felice che il mio desiderio di morire fosse valutato seriamente, che un medico trovasse il tempo di parlarne con me in modo profondo, accompagnandomi sulla strada della consapevolezza che non ero ancora pronta per lasciare la vita, una vita che per me non era ancora finita. Questo percorso che ho potuto compiere coscientemente mi ha salvato la vita, in quanto mi ha lasciato ampio spazio prima di prendere una drastica decisione. Continuavo a trovare la vita molto pesante, a pensare al suicidio, devo dirlo sinceramente e ancora faccio fatica a parlarne. Ma ero sulla buona strada.
Un altro fattore molto importante è stato quello di aver realizzato che avevo una sola vita, a cui avrei definitivamente rinunciato lasciandola in quel momento. Mi chiesi anche se credevo in “qualcosa” dopo la morte. La risposta fu: no. Per cui uscire dalla mia vita voleva dire porre veramente fine al mio esistere. In quel momento lo volevo fortemente perché avevo tanto male, soffrivo molto. Nel contempo realizzavo il fatto che stavo preparandomi a dire addio a tutti e a tutto: alla mia famiglia, agli animali intorno a me, al sole, al posto dove vivevo. Mentre pensavo a tutto questo mi rendevo conto di quanto fosse difficile a livello emozionale; mi rendevo conto di quanto la parola “morte” significasse irrimediabilmente la fine di tutto.
Negli anni che seguirono la rinuncia a morire sono lentamente avvenute molte cose nella mia vita che l’hanno resa degna di essere vissuta. Per esempio ho incontrato e mantenuto molte amicizie, ho fatto un lavoro di volontariato. Ho studiato e sono andata a vivere da sola. Questo tipo di valori, di attività, mi hanno portata passo per passo a non oppormi più ai dolori della vita.

Uno dei disegno fatti da Floor van Welie. Per lei disegnare, dipingere, è sempre stato un modo per “perdersi in qualcosa di bello dimenticando il tempo che passa e capendo che cosa sia non voler “più rinunciare definitivamente alla vita. Attimi di sollievo.”
Floor, sono rimasta colpita dal fatto che lei ha scelto di svolgere la sua professione lavorando proprio per il GGZ, ente statale del Ministero della salute che si occupa di aiutare persone che soffrono degli stessi disturbi psichici che hanno afflitto lei in passato. Veramente ammirevole!
Ho deciso di lavorare per il GGZ perché voglio sostenere le persone che stanno passando qualcosa che io posso ben capire. È stata una scelta logica quella di essere d’aiuto in un campo che mi tocca molto, tanto importante: la salute psichica. Inoltre quando era malata parecchie persone hanno aiutato me molto bene. Questo lo voglio fare anche io adesso per gli altri! Sperando di essere d’ esempio. Posso testimonare che puoi diventare veramente molto malato; ma anche riprenderti.

Floor van Welie. L’importanza delle passeggiate quotidiane, che portano energia ed ossigeno al corpo, alla mente, all’anima.
Durante la sua intervista televisiva per “Human” dell’emittente NPO, quando il giornalista Coen Verbraak le chiese se adesso era felice, dopo aver scelto di vivere, lei ha risposto: “ a volte sì. Soprattutto in certi momenti. D’altra parte la felicità è una specie di emozione fatta proprio di momenti.” Su queste basi e questa bellissima risposta, che cosa può consigliare a chi come lei soffre tanto, fisicamente e psichicamente?
Sinceramente debbo dire che allora non sapevo che cosa dovessi cercare quando mi sentivo così male e pensavo alla morte. Mi sembrava come se niente potesse aiutarmi. L’amore per i miei genitori e per le mie sorelle spesso mi trattenevano dal suicidarmi, mi sentivo così in colpa per i traumi che procuravo loro e che avrei continuato a procurare loro. Pensavo anche alle persone che mi avrebbero “trovata morta” in quel modo. Non trovavo giusto fare a mia volta tanto male a tutte quelle persone. Poi c’erano quegli “sprankje” di speranza (“sprankje” in italiano significa “scintilla”) che arrivavano quando ero occupata a disegnare o dipingere. Gli unici momenti in cui potevo perdermi in qualcosa di bello, dimenticando il tempo che passava e capendo che cosa sia “non voler essere morto.” Attimi di sollievo. Purtroppo soffrivo anche di anoressia/bulimia, avevo una dipendenza al cibo, al mangiare e poi a vomitare quello che avevo mangiato. Eppure, anche se sembra strano, tutto ciò ebbe per me una chiara funzione; in un certo senso mi aiutava a tenere lontano il pensiero della morte. In poche parole questa forma di dipendenza divenne “un aiuto”; ma ovviamente non consiglierei mai a qualcuno questa strada… per liberarsi da pensieri di morte! Inoltre mi servì molto e ancora mi aiuta è l’essere ben ancorata alle abitudini comuni, che fanno parte della vita quotidiana: per esempio ogni giorno fare una passeggiata. Rimanere in moto è veramente un effettivo sostegno per il mio cervello. Questo lo consiglio a tutti! Passeggiate e ascoltate la musica, anche se può farvi piangere. La musica è essere veramente curativa, ha un effetto benefico.

Floor van Welie, durante una passeggiata. La vita è un lungo, talvolta faticoso cammino, l’importante è affrontarlo trovando uno scopo per vincere il dolore quando sentiamo che lui sta vincendo su di noi. Andando avanti, passo per passo, con coraggio. Verso quella piccola luce che ci guida verso la meta, scintille che scoccano improvvise, con un nuovo incontro, nuove amicizie, l’amore, la natura in tutta la sua bellezza, la musica, la pittura, l’arte, il saper porre una mano di sostegno a chi ha bisogno di aiuto.
Floor, un altro punto dolente riguarda la morte di tua sorella Jozien, che ha scelto di lasciare la vita chiedendo ed ottenendo l’eutanasia. Te la senti di parlarcene?
La più giovane delle mie sorelle (io ho due sorelle) era una donna tanto cara, premurosa, aveva il senso dello humor. Ma già all’età di 15 anni era malata. Non aveva più fiducia che avrebbe potuto guarire in un futuro a breve termine, aveva provato così tante cure, terapie! In famiglia avevamo visto molto spesso che si stava annientando e notato sintomi suicidali. Gli ultimi anni i pensieri suicidali erano diminuiti, da quando aveva cominciato a parlare con i medici della possibilità di porre definitivamente fine alla sua vita. Insieme scegliemmo il posto al cimitero dove voleva essere seppellita. Considerato che sapeva di avere la possibilità di morire, dopo un tragitto di anni, (obbligatorio secondo la legge olandese che regolamenta l’eutanasia), si sentiva più tranquilla, in pace; e noi nell’ultimo periodo non avevamo più paura che si sarebbe suicidata, ponendo lei stessa fine alla sua vita. Questo era il mio incubo più terribile: che lei, proprio lei che amava occuparsi degli altri e stare in mezzo agli altri, potesse morire in una maniera così orrenda. Non doveva avvenire, non era necessario. Naturalmente le avevo parlato di concedersi del tempo, di aspettare, ma la sua forza, voglia di lottare si era esaurita. Alla fine se ne è andata come voleva, in mezzo a palloni e rose. Lei mi manca ogni giorno ma non mi manca la malattia che aveva. In un determinato modo anche i nostri genitori e noi sorelle abbiamo raggiunto un senso di pace sapendo che lei adesso non dovrà più soffrire così tanto, ogni giorno. O forse, per meglio dire; da un lato non abbiamo pace per quello che è accaduto ma allo stesso tempo sì. Tutto questo è così difficile!

Le ultime parole di Floor “tutto questo è così difficile”, in riferimento all’eutanasia di sua sorella Jozien, fanno ancora una volta riflettere sui sentimenti contrastanti che portano a determinate, drammatiche scelte nella vita: tanto delicate, intime e dolorose che non debbono assolutamente essere giudicate e tanto meno criticate da chi non vive queste tragiche situazioni, pene, tormenti inimmaginabili.
Concludo avendo imparato a mia volta (nel corso della mia professione ogni intervista è stata per me un nuovo, prezioso arricchimento) che la felicità, o almeno la serenità possono essere racchiuse in semplici “scintille” di vita quotidiana, piccole emozioni che superano grandi attimi di patimento. Forse non li risolvono ma ti danno la forza di andare avanti, passo per passo. E ad ogni passo, sul terreno che percorri, spunta un fiore, un raggio di sole. Dopo la pioggia, l’arcobaleno: illusione ottica? Non importa. Basta vederlo.
Maria Cristina Giongo
CHI SONO
Link al video del programma “Over leven”.
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