Il Ponte del Diavolo: un attraversamento da brivido

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Devil’s Bridge in una rara mappa del 1914 su stoffa (per gentile concessione di Bob Forrester)

«È una stretta balza di roccia distesa sopra una spaccatura nella montagna ed è meglio non guardare troppo a lungo quello che sembra un abisso senza fine» (Edward P. Mathers: Golden South Africa, 1888)

«Il ponte è una formazione rocciosa che attraversa una valletta profonda circa 600 metri; esso è largo 6 metri e lungo 60 metri. Da entrambi i lati si osservano le profonde valli che si fanno strada per miglia in mezzo ad un’aspra babele di monti….. .È chiamato il Ponte del Diavolo, ma non riuscirò mai a capire perché tante bellissime località hanno preso nome da Sua Satanica Maestà». (E. Clairmonte: Africander, 1896)

Così fu descritto Devil’s Bridge, il Ponte del Diavolo, da due viaggiatori di fine ‘800.

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Il “ponte” (indicato dalla freccia) dal lato Swazi; all’estrema sinistra è visibile il percorso del sentiero

Il cosiddetto ponte è quello che resta di una cresta montuosa erosa, nel tempo, in entrambi i lati ove si sono formate due ripide e profonde gole.
All’epoca non vi erano vere e proprie frontiere ed il passaggio era libero; ora esso è in territorio Swazi proprio al confine con il Sud Africa.
Al momento delle mie visite (2008) la larghezza si era ridotta a meno di 3 metri ed una fitta vegetazione cresceva sul passaggio e nelle gole, ma anche se non era possibile vederne il fondo, le scarpate incutevano, comunque, un senso di insicurezza.
La pista fu anche scavata nella roccia e si può osservare, nel tratto oltre Devil’s Bridge non coperto da foreste, che essa è effettivamente stretta ed è a picco sul burrone.

Una strada sterrata di servizio per le piantagioni di eucalipti, parte dalla città di Piggs Peak, in Swaziland e giunge fino ai resti di un campo militare utilizzato, fino agli anni ’80 del secolo scorso, come centro di addestramento anti-insurrezione (nel confinante Sud Africa erano ancora in vigore le leggi razziali).
Vi si arrivava abbastanza agevolmente, con un buon fuoristrada, ma non sono a conoscenza se la strada sia oggi ancora praticabile; il sentiero che porta a Devil’s Bridge parte dal campo militare e sale, costeggiando la rete che segna il confine tra Swaziland e Sud Africa, per circa 1 km fino alla meta situata a 1600 metri di altezza.
Proseguendo, con una non difficile arrampicata di un altro km, si può raggiungere la cima del monte Emlembe, il più alto dello Swaziland coi suoi 1862 metri.

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Il sentiero oggi: a sinistra versante Swaziland, a destra versante Sud Africa

Perché Devil’s Bridge era importante?

Perché vi passava la RW8, l’unica via di comunicazione che univa la città di Piggs Peak, in Swaziland, con Barberton, in Sud Africa, due città minerarie.
In diverse cartine dei primi ‘900, la RW8 è classificata come pista e cioè adatto solo al passaggio di cavalli e muli.
Durante l’epoca coloniale (soprattutto nel 19° secolo) in Sud Africa e Swaziland fu costruita una rete di carrozzabili o piste, definite come Rights of Way (RW) che stava a indicare il diritto di passaggio anche quando venivano attraversati terreni privati o concessioni.
Le maggiori erano larghe abbastanza da consentire il passaggio degli ox-wagon, grandi carri a 4 ruote trainati da buoi, che erano il mezzo di trasporto più comune e, spesso, l’unico. Su di esso venivano caricati tutti i “beni” di una famiglia quando essa doveva migrare o venivano trasportate merci.
Una curiosità: poiché si dovevano attraversare terre inospitali, sotto al carro veniva spesso appesa una cassetta di legno, con terra fertile che veniva usata per “coltivare” funghi i quali rappresentavano gli unici vegetali da mangiare nell’arco di giorni.

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A sinistra ox-wagon attraversano un fiume in Swaziland, foto fine ‘800 di J.Raucher (Swaziland Digital Archives); a destra relitto di ox-wagon oggi


La definizione deriva da leggi emanate, fin dal 13° secolo, in Inghilterra e poi estese alle sue colonie.
In pratica il Re ed i suoi sudditi avevano diritto di passaggio sicuro sulle “highway” e cioè strade di confortevole transito.
Fu addirittura stabilito, tra l’altro, che non vi potessero essere ostacoli (alberi, fossati, sottobosco) entro la distanza di 60 metri dalla strada per evitare che malintenzionati vi si potessero nascondere.
In seguito il diritto di passaggio fu esteso anche alle strade minori.
Erano, in pratica, quelle che da noi sono le Strade Statali e Provinciali e, vale la pena dirlo, erano spesso ricavate dalle strade costruite dai Romani durante la loro dominazione in Britannia.
È interessante scoprire che, queste leggi, contemplavano già la manutenzione e stabilivano anche la larghezza minima delle ruote dei carri (circa 7cm) per ridurre al minimo il danneggiamento del suolo.

Nelle province attorno a Città del Capo (in Sud Africa) vi sono passi stradali che ricalcano le antiche strade ottocentesche (un bel libro li descrive con dovizia di particolari).
Esse si inerpicano lungo i monti fiancheggiate da abissi senza fine e ancor oggi, anche se spesso asfaltate e allargate, vanno percorse con cautela, fermandosi se si vogliono godere gli splendidi paesaggi.

Personalmente le ritengo opere d’arte costruite, val la pena di ricordarlo, anche con lo sfruttamento ed il sacrificio di operai africani.

Testo e foto di Mauro Almaviva

Mauro Almaviva

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2 Responses to “Il Ponte del Diavolo: un attraversamento da brivido”

  1. Elisa scrive:

    Grazie Mauro di questa splendida documentazione.

  2. mauro scrive:

    Grazie del commento
    E’ uno dei tanti posti incredibili in cui mi sono imbattuto.
    Certo è che le strade sapevano costruirle e mantenerle

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