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Editoriale di febbraio. Libri. “Lo sbarco che mai avvenne” ci fa entrare nel vivo di una storia unica, attirando l’attenzione, l’interesse. Da non perdere.

lunedì, febbraio 1st, 2021

I due autori del libro “Lo sbarco che mai avvenne”, Rolando Galligani (a sinistra) e Mauro Almaviva. Bertoni editore.

Cari, affezionati lettori,
Inizia il mese di febbraio, con tanta speranza che i vaccini contro il Covid-19 ci aiutino a combatterlo definitivamente. Tuttavia, in questo editoriale non voglio dare nuovamente spazio a questo virus, alle disgrazie che ha provocato, al dolore, alle statistiche… Desidero parlare solo di libri. In quanto i libri hanno salvato tante persone dalla noia e dallo sconforto dei vari lockdown.
“Salvato” forse è una parola corposa, esagerata, ma, per quanto mi riguarda, adatta alla situazione di ore ed ore chiusa in casa a domandarmi come impiegarle, quelle ore, senza poter trovarmi con gli amici, passeggiare nel centro della città, cenare con tutta la famiglia e tanto di più. Per questo ho letto molto, uscendo dalle mura domestiche con la fantasia.
Durante i lockdown ho quindi letto tanto e di tutto:saggi, romanzi psicologici, romanzi gialli, romanzi intrisi di affascinanti storie romantiche, di vite vissute, di vite sognate. L’ultimo della serie si chiama “Lo sbarco che mai avvenne”, di Rolando Galligani e Mauro Almaviva, edito da Bertoni editore.

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Il Ponte del Diavolo: un attraversamento da brivido

domenica, gennaio 24th, 2016

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Devil’s Bridge in una rara mappa del 1914 su stoffa (per gentile concessione di Bob Forrester)

«È una stretta balza di roccia distesa sopra una spaccatura nella montagna ed è meglio non guardare troppo a lungo quello che sembra un abisso senza fine» (Edward P. Mathers: Golden South Africa, 1888)

«Il ponte è una formazione rocciosa che attraversa una valletta profonda circa 600 metri; esso è largo 6 metri e lungo 60 metri. Da entrambi i lati si osservano le profonde valli che si fanno strada per miglia in mezzo ad un’aspra babele di monti….. .È chiamato il Ponte del Diavolo, ma non riuscirò mai a capire perché tante bellissime località hanno preso nome da Sua Satanica Maestà». (E. Clairmonte: Africander, 1896)

Così fu descritto Devil’s Bridge, il Ponte del Diavolo, da due viaggiatori di fine ‘800.

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Alla ricerca delle miniere d’oro perdute dello Swaziland: antiche tragedie e nuove prospettive- seconda parte

martedì, novembre 24th, 2015

Minatori fine ‘800 (Swaziland Digital Archives)

La corsa all’oro
Il periodo a cavallo tra il 19o e il 20o secolo vide una frenetica corsa all’oro in Sud Africa e in Swaziland.
In quest’ultimo paese furono aperte numerose miniere, dai nomi bucolici (Margherita), storici (Ivanhoe, Nottingham, Buckingham) o minacciosi (Sciacallo, Filone del Diavolo).
Furono intrapresi imponenti lavori.
Per far giungere l’acqua necessaria a far girare la ruota da mulino che muoveva i macchinari, a Daisy fu costruita una condotta di due chilometri, del diametro di circa mezzo metro che originava da una cascata sui monti.

Resti della condotta e della diga costruita sono ancora visibili nella fitta foresta.

Col tempo lo sfruttamento delle vene aurifere divenne più dispendioso e arduo per la necessità di scendere sempre più in profondità.
Entro gli anni ’30 del secolo scorso esse furono man mano abbandonate e lasciate in balia della natura.
Da allora saltuariamente scavi furono ripresi in alcune di esse fino agli anni ’60.
Negli anni ’40 fu iniziata, nell’area mineraria, la posa di eucalipti e pini per ricavarne legname e polpa di cellulosa per le cartiere (una delle principali risorse economiche del paese ancora oggi).
Quasi tutte le miniere abbandonate finirono inghiottite dalle fitte foreste tropicali o dalle piantagioni.

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Viaggio in Swaziland

martedì, giugno 23rd, 2015

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Le verdi montagne dello Swaziland

Forse perché ci ho vissuto per molti anni, lo Swaziland occupa un posto importante nel mio cuore.
Pochi, in Italia, conoscono il paese e credo che la maggior parte di essi tragga informazioni dagli articoli che appaiono talora sui nostri giornali e che travisano un’antica cerimonia.
Il regno dello Swaziland ha una superficie più o meno uguale a quella del Lazio con una popolazione di poco più di un milione di abitanti (di cui oltre il 70% vive in zone rurali) composta quasi totalmente da una sola etnia: gli Swazi, un popolo di antiche tradizioni guerriere. Essi erano secondi, fino all’avvento del colonialismo, solo agli Zulu (da pronunciare senza accento sull’ultima u).

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Pitture preistoriche in Africa, misteriose immagini e l’ impronta di Dio nello Swaziland.

lunedì, maggio 12th, 2014

“L’impronta di Dio”. Foto di Mauro Almaviva

Continuiamo la storia delle misteriose immagini trovate dal Dottor Mauro Almaviva durante la sua ricerca in Swaziland. Una storia affascinante che sono sicura vi interesserà. La prima puntata è stata pubblicata il 14 aprile scorso. Leggi qui.
Buona lettura e aspetto i vostri commenti.

Maria Cristina Giongo

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