Alla ricerca delle miniere d’oro perdute dello Swaziland: antiche tragedie e nuove prospettive

Minatori, fine ‘800 (Archivio Storico Digitale dello Swaziland)

Le foglie di un arbusto cresciuto davanti all’ingresso della galleria del “livello 4” della miniera d’oro “Daisy” (risalente alla fine del 19° secolo e abbandonata da ottanta anni) si muovevano a indicare presenza di corrente d’aria. Il pertugio lasciato dallo smottamento dell’ingresso era però troppo piccolo da permetterci l’accesso: abbiamo dovuto aprire un passaggio sufficiente a entrare carponi.
La galleria in sé era alta non più di 160 cm per cui eravamo costretti a procedere curvi.
Nell’immaginario collettivo le miniere sono invase da pipistrelli aggressivi, puzzano di muffa e legno stantio, trasudano acqua, radici di alberi penzolano dal soffitto.
Non è sempre così e dopo aver esplorato una cinquantina di gallerie in venti miniere, mi sento in obbligo, per sfatare l’ingiusta nomea dei pipistrelli, di testimoniare che essi ci ignoravano oppure, spaventati, ci frullavano intorno alla ricerca dell’uscita e noi, per agevolarli, ci siamo spesso abbassati per lasciare loro il passaggio.
In alcune occasioni abbiamo notato, con una certa apprensione, piccole radici scendere dalla volta delle gallerie, segno che la roccia sopra di noi non era molto compatta (le radici degli alberi possono infilarsi nelle crepe e frantumarla).
Daisy (Margherita), nel nord dello Swaziland, fu la prima miniera che esplorammo e l’alone di mistero che la circondava ci rese particolarmente inquieti mentre avanzavamo lentamente con molta attenzione.
Perché questa miniera fu, apparentemente, teatro di una tragedia.

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Daisy, galleria al livello 4 (foto Bob Forrester)

L’episodio, così come raccontatoci da tre anziani, abitanti di altrettanti piccoli villaggi, era tremendo: una fontana d’acqua era fuoriuscita improvvisamente in una galleria, allagandola e facendola crollare.
Una ventina di minatori restarono intrappolati e vani furono i tentativi di raggiungerli tramite lo scavo di un condotto. Essi sono ancora là.
Ciò che differiva, nei racconti (comunque molto simili nella descrizione), era il periodo in cui avvenne l’incidente giacché la miniera fu chiusa e riaperta più volte fino agli anni ’30.
Purtroppo gli Archivi Nazionali del paese si riducono a un ammasso di scatoloni senza etichette ammassati in umidi sotterranei ad ammuffire; non ci è stato, quindi, possibile approfondire.
Comunque sia la cosa ci rattristò e il pensiero di quella possibile tragedia ci accompagnò durante l’esplorazione delle gallerie di Daisy.

La miniera che più mi ha impressionato è quella di Piggs Peak (che significa Picco di Piggs, colui che scoprì la vena), la più importante miniera dello Swaziland, che fu operativa dal 1889 al 1918 e poi, a più riprese, fino agli anni ’50.
La miniera consiste in un grande cratere, scavato per primo nella collinetta e in diverse gallerie poste su 7 livelli fino ad una profondità di oltre 200 m.
Le gallerie si estendono per centinaia di metri di lunghezza e, spesso, strade sterrate, utilizzate per gli addetti alla cura delle piantagioni di eucalipto sorte dagli anni ’40, passano sopra a quelle più superficiali.
Bob, l’archeologo con cui ho esplorato le miniere, mi raccontò che apparentemente molti anni fa un trattore sprofondò in una galleria e non fu possibile recuperare né il guidatore né il mezzo perché seppelliti da tonnellate di rocce e terra.
Strisciando come lucertole attraverso l’ingresso parzialmente franato, siamo riusciti a entrare in una galleria del “livello 3″ (lasciando una delle guide locali all’esterno per motivi di sicurezza).

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Nelle viscere della terra (foto Forrester e Almaviva)

E’ indispensabile, mentre si prosegue alla luce delle torce, illuminare i lati per scorgere eventuali gallerie che s’immettono seminascoste e che, al ritorno, potrebbero farci sollevare il dilemma: siamo venuti da destra o da sinistra? Bisogna, quindi, segnalare i bivi con pietre o altro materiale.
Dopo pochi minuti abbiamo percepito distintamente un soffio d’aria e, guardando in alto abbiamo intravisto un fazzoletto di luce.
Secondo la planimetria trovata in una pubblicazione d’epoca, eravamo sotto il pozzo Hilda e l’apertura era a più di 50 metri sopra di noi.
Dopo interminabile e lento procedere, siamo sbucati in una cengia a circa metà altezza di una grande caverna, interamente scavata dall’uomo che, secondo la stessa planimetria, era alta circa 50 m e larga circa 15 m.
Facendo attenzione a non scivolare di sotto, abbiamo imboccato una galleria sul lato della cengia che terminava in uno slargo ove un arrugginito e scassato verricello si protendeva su di un profondo baratro: un pozzo il cui fondo le torce non riuscivano a illuminare.
Abbiamo, saggiamente, deciso di tornare sui nostri passi evitando la tentazione di esplorare due invitanti gallerie che ci si paravano innanzi (due giovani studenti avrebbero voluto invece proseguire).
I pozzi (di aerazione o sollevamento) si rivelano trappole mortali pronte a cogliere chi procede troppo velocemente o si distrae.
Bob ha proposto di fermarci e spegnere ogni torcia. Nonostante la sicurezza di avere pile a sufficienza ho vissuto momenti inquietanti: buio completo, uno scenario da film dell’orrore.
Che cosa avrei potuto fare se fosse accaduto realmente di restare senza luce?
Mettermi carponi e proseguire tastando la parete di una galleria e il suolo per accorgermi dei pozzi? Se avessi trovato un pozzo cosa avrei fatto? Potevo anche essere sicuro che la parete che tastavo non mi avrebbe portato in una galleria laterale?

Al tempo delle nostre visite, in alcune miniere, scavatori dilettanti lavoravano di scalpello per estrarre, illegalmente e al prezzo della loro vita, l’oro per un valore pari a poco più dello stipendio di un operaio: quanto basta per sopravvivere.

Ma perché e quando furono scavate le miniere in Swaziland? Perché esplorarle? Una vecchia e abbandonata città mineraria sorta a nuova vita.
Li vedremo alla prossima puntata.

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Miniera Windermere oggi (foto Mauro Almaviva)

Testo di Mauro Almaviva

Mauro Almaviva
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4 Responses to “Alla ricerca delle miniere d’oro perdute dello Swaziland: antiche tragedie e nuove prospettive”

  1. Claudia Tagliabue scrive:

    Caro Mauro, non credere, che perché non ho commentato, non ho letto. Anzi letto più volte !!! Il fatto è che non ho più parole. Non so più che dire. Le tue avventure sono tutte affascinanti e come già ti ho detto. tempo addietro, hai la capacità di trasportarci al punto, che ci sembra d’essere là….. Per l’ennesima volta COMPLIMENTI !!! Aspetto con ansia il prossimo articolo !

    • mauro scrive:

      Cara Claudia,
      la prossima uscita sarà il seguito delle miniere poi, per dicembre, Cristina ha chiesto qualcosa di natalizio.
      Che posso mettere di natalizio in racconti di viaggi?
      Descriverò qualche bel posto da vedere anche quando qui è inverno.
      Grazie ancora per la fedeltà

      • Claudia Tagliabue scrive:

        Beh potresti raccontare come vivono il Natale in alcuni luoghi… Se lo considerano una Natività, oppure no. Se fanno particolari preparativi. Oppure, cosa festeggiano alcuni popoli, che possa essere paragonabile al nostro Natale.Resta perfetta la descrizione di qualche luogo dove splende un bel sole caldo su un mare cristallino, mentre qua c’è freddo, nebbia e magari neve… Un abbraccione !!!

        • admin scrive:

          Esattamente quello che pensavo io, Mauro! Sarebbe molto interessante! Grazie, Claudia! I consigli dei nostri lettori sono preziosissimi!

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