Viaggio in Namibia nella Costa degli Scheletri

Testo e foto di Mauro Almaviva

Relitto della Benguela Eagle

I Bushman l’hanno chiamata: “La terra che Dio creò mentre era arrabbiato”.
Questa terra, che comprende il tratto del deserto della Namibia (Namib Desert) dal fiume Kunene a nord (che segna il confine con l’Angola) e il fiume Swakop a sud (circa 750 km), è oggi conosciuta come Skeleton Coast (Costa degli Scheletri).
Il sinistro nome evoca storie della filibusta: navi depredate e abbandonate alla deriva e tesori nascosti vegliati da scheletri di pirati in un ambiente immerso in un’angosciante bruma.
In realtà gli scheletri da cui il nome, sono i relitti delle numerose navi naufragate lungo la costa o i resti di balene spiaggiate o uccise nei secoli scorsi dai cacciatori.
Il mare, in questa zona, è, infatti, estremamente pericoloso per la navigazione sia per le forti onde create dalla corrente del Benguela, sia per la presenza di banchi sottomarini “mobili” formati dalla sabbia costiera trasportata dal vento.
A ciò si aggiunge la frequente, densa, nebbia. E’ praticamente impossibile approdare senza schiantarsi.
Tutta la costa atlantica della Namibia e del Sud Africa è, però, rischiosa e a migliaia si contano i naufragi.

Il cancello sud dello Skeleton Coast Park: un esplicito avviso

La costa è formata soprattutto da alte dune che terminano direttamente sul mare e che si estendono per decine di chilometri verso l’arido interno. Solo con minor frequenza si trovano tratti rocciosi o ghiaiosi.
Qualunque sia la morfologia della costa, un dato comune è che essa è decisamente inospitale.
Sopravvivere a un naufragio raggiungendo la costa era considerata una sfortuna perché una morte in mare era preferibile a una lenta agonia per mancanza d’acqua e cibo.
Solo in rari casi alcuni naufraghi sono sopravvissuti come nel caso dei superstiti della Dunedin Star il cui salvataggio (nel 1942) fu molto laborioso, tanto che i primi soccorritori dovettero essere salvati a loro volta.
Molte piante riescono a sopravvivere in quest’ambiente grazie alla nebbia che quasi costantemente avvolge la costa e parte dell’interno; esse danno nutrimento ad animali che ne traggono anche l’acqua per sopravvivere. Sono presenti insetti, rettili, mammiferi (anche di grossa taglia) e uccelli che si sono adattati all’ambiente.
L’area che va dal Kunene al fiume Ugab (circa 500km) è il Parco Nazionale Skeleton Coast e la strada sterrata, che unisce l’ingresso sud a quello est (circa 150 km), può essere percorsa tranquillamente in una giornata.
Non è possibile pernottare nel parco al di fuori dei campi Terrace Bay (campeggio e bungalow) e Torra Bay (campeggio) per i quali è obbligatoria la prenotazione.
Una quindicina di km oltre l’ingresso sud del parco, si può agevolmente visitare il relitto della Benguela Eagle, naufragata nel 1975 (vedi foto del titolo), ma altri relitti sono presenti lungo la costa, anche se più distanti dalla strada.
E’ anche possibile visitare i resti di una miniera di diamanti chiamata “Toscanini”.
Terrace Bay è un campo con bungalow molto frequentato durante la stagione estiva, assieme al campeggio di Torra Bay, dagli appassionati di pesca.
Proseguire lungo la costa oltre Terrace Bay richiede uno speciale permesso.
Quando si percorre la strada sterrata che segue la costa bisogna essere preparati a sorprese.
Non s’incontrano solo gli inquietanti segni della desolazione: scheletri di animali, relitti di navi o rottami di veicoli; ci sono anche chiazze d’erba e arbusti in cui pascolano tranquillamente gli Orici (grosse antilopi).
La laguna di Huabla, popolata di uccelli d’ogni tipo, merita una deviazione.
C’è da pensare a un pentimento di Dio: egli ha fatto sì che sorgessero sprazzi di vita in tanto deserto.
A Terrace Bay non vi è nulla tranne la sabbia, i sassi, il mare sempre agitato e i resti di antiche operazioni minerarie. Mia moglie ed io ci abbiamo pernottato in un paio d’occasioni in bassa stagione.
Nel grigiore delle giornate permeate dalla foschia, il grido degli uccelli era a mala pena udibile perché coperto dal rombo del mare e dal rumore dei ciottoli spostati dalle onde.
Il pensiero andava, inevitabilmente, anche a coloro che, raggiunta la riva dopo un naufragio, avevano ringraziato il cielo per lo scampato pericolo per poi trovarsi di fronte ad un mare di sabbia senza acqua né viveri.
Possiamo solo lontanamente immaginare la loro disperazione.
Quando si leggono o si ascoltano racconti sui naufragi, ci si rende conto che la leggenda e la realtà ancora si mescolano e rafforzano il mistero che ancora circonda la Skeleton Coast.

Terrace Bay ore 15, la foschia copre il sole

Tutta la costa della Namibia è inospitale e puntellata di relitti e anche le poche città che vi sorgono sembrano oasi nel deserto. Un tempo, infatti, con il nome Skeleton Coast si definiva tutta la costa della Namibia e non solo quella descritta in precedenza.
Ci spostiamo a sud di circa 600km in una zona di alte dune a picco sul mare che è ancora oggetto di sfruttamento minerario.
Anni fa abbiamo partecipato, con la nostra Land Rover Defender, a un’escursione di tre giorni a Saddle Hill (Collina della Sella), un antico campo minerario abbandonato a nord di Luderitz in parte riadattato da un’agenzia, la Coastways Tours, che ha la concessione turistica (www.coastways.com.na)
Dovevamo seguire le tracce dell’auto della guida lungo un percorso abituale; era assolutamente (e giustamente) vietato scorrazzare sulle dune a piacimento al fine di evitare di danneggiarle.
Avevo già assaporato l’emozione di scalare dune in passato e conoscevo la tecnica per evitare di insabbiarmi sulla cima o, peggio, di rotolare lungo il fianco.
Tuttavia le dimensioni e l’altezza di quelle namibiane ci hanno fatto produrre notevoli dosi di adrenalina.

Ripida discesa a mare

C’è stata qualche apprensione quando abbiamo disceso una duna che terminava in mare avendo solo un paio di metri per curvare sul bagnasciuga. Si doveva frenare dolcemente solo poco prima dell’acqua (mai usare i freni scendendo dalle dune) per sincronizzarsi con le onde al fine di evitare di finirci dentro e dire addio all’auto.
Visitare i relitti di navi naufragate e passare attraverso i resti di campi minerari abbandonati, nei quali sono stati lasciati veicoli e attrezzature che la natura sta lentamente ma inesorabilmente sbriciolando, ha affascinato e inquietato allo stesso tempo.
Ci fa pensare che nulla è eterno e, alla fine, la natura si riprende quanto le abbiamo tolto.

Un trattore si sta lentamente disgregando

Di una nave, la United Trader, arenata nel 1974, restano solo frammenti: carica di esplosivi fu fatta esplodere perché era troppo pericoloso cercare di svuotarla e inoltre c’era il timore che qualcuno potesse cercare di rubarne il contenuto.

Catena dell’ancora della United Trader scagliata, dall’esplosione, a centinaia di metri entroterra

La sera abbiamo dormito nei sacchi a pelo sulle brande del vecchio dormitorio di Saddle Hill con il sottofondo musicale del vento che ululava tra le assi e le scassate finestre.
Mi sono svegliato un mattino presto per alcune foto nell’incerto chiarore dell’alba brumosa e ho avuto la sorpresa di vedere uno sciacallo tranquillamente sdraiato sul bordo del campo; se n’è andato solo quando mi sono avvicinato a pochi metri: probabilmente troppi per i suoi gusti.

Sciacallo

Sembra impossibile ma in alcuni luoghi, non lontani dal mare, vi è acqua potabile sotto la sabbia. Ne abbiamo trovata scavando per circa un metro.
Ho avuto modo di assaggiarla intingendo un dito: era lievemente salata ma fresca e, a detta della guida, potabile anche per l’uomo.
Ci ha riferito che anche gli animali conoscono i punti ove vi è acqua poco sotto la sabbia e scavano con le zampe per raggiungerla.

Acqua potabile a poca distanza dal mare

La splendida, infinita, distesa di dune, il mare in una giornata velata dalla bruma, l’incessante rumore delle alte onde, la desolazione dei campi minerari in rovina e il vento che fischia tra i ruderi o i relitti, suscitano, nell’animo umano, talora opposte emozioni.
Mi rendo conto che, per molti, questo ambiente intristisca o incuta timore: noi ne eravamo, al contrario affascinati e ci sentivamo completamente rilassati.
Alcuni, abituati alla folla, ai rumori e agli odori di una popolosa città, provano senso di angoscia alla sola idea di vivere, sia pur per pochi giorni, in un ambiente che essi percepiscono come ostile.
Altri sono attratti dagli spazi infiniti disabitati e selvaggi, ma ne vogliono godere con tutte le comodità della vita moderna, possibilmente “smanettando” su Twitter o inviando SMS agli amici.
Tecnologia percepita come sorta di cordone ombelicale con la civilizzazione da cui temono, forse, di volersi staccare.
Nulla di tutto ciò è criticabile: ognuno si relaziona con la realtà in maniera diversa.
Anche noi abbiamo cercato un po’ di comodità ove possibile, ma ci sono meravigliosi luoghi da visitare che richiedono qualche sacrificio e spirito di adattamento.
Ci caliamo, quindi, nella realtà del momento e lasciamo che gli odori, i rumori, i colori, permettano alla mente di meditare, o di fantasticare, o di svuotarsi, almeno per un attimo.

Mauro Almaviva
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Foto di M. Almaviva

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2 Responses to “Viaggio in Namibia nella Costa degli Scheletri”

  1. lorella scrive:

    E’ STATA UN AVVENTURA SICURAMENTE INDIMENTICABILE ! CHE TRISTEZZA TUTTI QUEI RELITTI …IL MONDO COME AL SOLITO E’ ALLA ROVESCIA…..TANTO SPAZIO E UN CLIMA COSI’ ABBANDONATO ….POVERI ANIMALI….

    • Mauro scrive:

      Lorella, è vero: era anche un po’ triste e abbiamo spesso pensato a chi è perito nei naufragi perché non si può semplicemente scorrazzare per le dune e visitare i relitti come se niente fosse.
      La natura selvaggia si riappropria del territorio distruggendo le opere dell’uomo, segno che essa va temuta e rispettata.
      Gli animali vivono bene: senza la presenza abituale dell’uomo le loro abitudini e fonti d’alimentazione non sono compromesse. Abbiamo visto uno sciacallo passeggiare tra le foche senza che esse manifestassero segni di allerta, cosa che invece è successa al nostro avvicinarci.

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