Mamma, sembravano tutti morti!

“Mamma, io ero dietro; di colpo il pullman ha cominciato a fare uno strano movimento, sbandava. Poi quel rumore…E subito tanto silenzio! Mamma, mamma, sembravano tutti morti!”.

Parla a fatica Alexander, olandese, 11 anni, al telefono con la madre dall’ospedale di Sion, in Svizzera, dove è ricoverato insieme ad altri suoi compagni feriti (24) nel terribile incidente avvenuto a Sierre, che è costato la vita a 28 persone. 22 bambini e 6 adulti. Lui per fortuna si è salvato, riportando soltanto un taglio alla gamba. Mentre un amico della sua scuola, la Sint Lambertusschool di Heverlee, è in coma; talmente sfigurato che è irriconoscibile per i suoi stessi genitori. Sua madre ha detto di aver saputo della tragedia due ore dopo e subito ha chiamato l’ospedale, in preda al panico. “Quando me l’hanno passato ero così felice di sentirlo! Alexander invece aveva la voce rotta dal pianto, dalla paura; si fermava nel parlare, come per cercare di respirare più aria possibile. ”

“Abito vicino alla scuola di Lommel, da dove era partito il pullman, ci ha raccontato Riette van der Steeg, una donna olandese; appena hanno dato la notizia alla televisione, ho visto la mia vicina di casa uscire di corsa, come impazzita. Un attimo dopo la nostra strada si è riempita di gente che correva verso la scuola. Non si capiva più niente, qualcuno gridava…Un inferno!”

Il premier Elio Di Rupo ha più volte rivolto un appello alla stampa affinchè rispetti il dolore dei genitori.
Molti di loro si sono rivolti alla polizia lamentandosi “ per l’invadente e quasi aggressivo intervento dei media, che li inseguivano con le telecamere, che volevano fotografarli, in un momento per loro così drammatico!”. Alcuni giornali belgi hanno addirittura pubblicato le foto dei loro bimbi morti, senza neppure domandare prima il permesso e schermare il volto con una mascherina. Una mancanza di rispetto e di sensibilità. Sono anche uscite illazioni sull’accaduto dicendo che l’autista si è distratto per inserire un dvd. Ma per ora nulla è confermato: la settimana passata gli investigatori dovevano venire in Belgio e in Olanda per sentire le testimonianze dei bambini sopravvissuti all’incidente, ma i genitori si sono opposti. “Mio figlio non è ancora in grado di affrontare un colloquio del genere”, ha detto un padre. “Voglio che ora sia lasciato in pace. E’ancora scioccato e in cura da uno psicologo”.

Oggi invece sono stati ascoltati i primi testimoni, alla presenza di un ispettore di polizia e dei loro genitori. Ma ancora non si sa che cosa hanno detto.

Tre mamme delle piccole vittime alla celebrazione funebre tenutasi a Lommel, in Belgio

Ci sono state anche proteste perchè non è stato ancora possibile attuare il riconoscimento di alcune salme estratte dalle lamiere. “Il problema è che spesso ci vogliono giorni prima di poter procedere all’identificazione”, ha spiegato Koen van Praet, coordinatore psicologo per gli aiuti ai parenti che devono affrontare questa terribile pratica. “In quanto è importante che avvenga nel modo meno traumatico possibile. Si deve cercare di mostrare ad ogni genitore il proprio figlio, o almeno gli oggetti personali di quello che riteniamo possa essere veramente figlio loro.

Infatti a volte si può incorrere nell’errore di far vedere il figlio di un’altro…aumentando la pena di quegli atroci istanti. Inoltre, come ci ha spiegato anche l’Interpol, accade sovente che un genitore si rifiuti di accettare che il corpo inerme che ha davanti a sè sia quello del suo bambino. Anche se lo è. Questo avviene perchè scatta in loro un inconscio meccanismo di difesa, di luttuosa incredulità, di speranza, che li porta ad autoconvincersi che quella creatura morta non possa essere la loro.”

Fra le tante storie che abbiamo sentito, ci ha colpito anche quella della famiglia Van Heukelom-Bleuen, che ha ricevuto prima una cattiva, e poi una buona notizia. “Mia figlia Veerle (37 anni, due bambini) era su quel maledetto autobus come accompagnatrice”, racconta la madre: “Lavorava nell’amministrazione della scuola e lo faceva da tanti anni: alle 7 e 45 ci hanno telefonato dicendo che era deceduta. Non potevamo crederci! Con lei c’era anche il cuginetto Sam, di 11 anni, figlio di mia sorella. Di lui non sapevano ancora niente. Poi, verso le ore 11 è arrivata un’altra telefonata che ci ha risollevati, in parte, dal nostro dolore… perchè ci informavano che Sam era vivo! Ha le gambe fratturate ma lui ce l’ha fatta!” A questo punto le due mamme, sorelle, si sono strette in un abbraccio fortissimo, fra lacrime di gioia e di disperazione. La famiglia di Veerle celebrato il funerale della figlia in privato, senza telecamere e giornalisti: e non insieme alle altre vittime del tragico incidente.

Maria Cristina Giongo
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