Oltre il velo

Cari lettori,

voglio presentarvi un bel racconto scritto da un ragazzo di soli 24 anni, che secondo me è già un talento. Ho “scoperto” Marco Capriotti per caso. O, meglio, è lui che ha scoperto me. Infatti aveva scritto un commento sotto un mio articolo. Un commento che mi aveva colpita. Come si dice in Olanda, “geen toeval”; “niente avviene per caso”. Ci si può certamente incontrare per caso, ma secondo me c’è un motivo; qualcosa che ha guidato il nostro pensiero ed il nostro volere perchè ciò accadesse. Ho proposto a Marco di scrivere una storia, soprattutto per verificare se la mia “intuizione” nei suoi confronti fosse giusta. Ha accettato con piacere e ne è nato il racconto che vi propongo. Avevo ragione! Marco sa scrivere; Marco non dovrebbe mai smettere di scrivere! Alla fine della sua storia mi sono quasi commossa. La soluzionea era lì, davanti a me, in un’intreccio ingegnoso, in uno scambio inatteso di ruoli, che mi ha veramente fatto riflettere su come a volte ci siano al mondo persone giovanissime dotate di preziosi talenti che magari neanche si accorgono di avere. Auguro a Marco una carriera di scrittore e poeta ricca di soddisfazioni, che gli illumini e riscaldi il cuore e l’anima. Ovviamente sperando che scriva ancora per noi!

Maria Cristina Giongo
CHI SONO

Le buste della spesa erano più pesanti del solito, e nessuno si era offerto di aiutare una povera signora attempata, con due bustone enormi, alla fermata del bus. Dove erano finiti i “gentleman”? Si chiedeva con la sua solita ironia. Lei era sempre stata così: affrontava i piccoli e grandi disagi quotidiani con il sorriso, con l’ironia. “Un’ora di ritardo, non è possibile.. ma perché gli autobus non sono mai in orario?” Perché niente è in orario, in questo mondo? Perché niente arriva mai quando dovrebbe? Quante volte siamo rimasti inerti, come stoccafissi, con macigni sulle braccia (in questo caso buste della spesa) ad aspettare che qualcosa cambiasse, pensava scoraggiata mentre con la mano si asciugava la fronte, imperlata di sudore.

“ Signora, ha timbrato il biglietto?”, chiese l’autista con sospetto.
“Ma certo”, rispose, un tantino infastidita (a causa del ritardo a cui lui non aveva minimamente accennato e della sua assenza di “galanteria”), mentre raggiungeva il tanto agognato sedile, appoggiando i bustoni accanto ai piedi. “Finalmente seduta, potrei intonare un alleluia qui se avessi la certezza di non far scoppiare tutti a ridere..”, pensò sorridendo tra sé e sé. Guardandosi meglio attorno notò che dentro l’autobus c’erano solo tre persone, oltre lei: una donna medio-orientale (presumibilmente araba) e un bambino con il suo papà.

Mentre li guardava, senza farsi notare troppo, la sua mente iniziava già a “lavorare”: se c’era una cosa che amava e che si concedeva ogni tanto, soprattutto in questi frangenti, era proprio il tentativo di immaginare quali potessero essere le sfumature più profonde della vita di quei perfetti sconosciuti; il tentativo di ricostruire una loro ipotetica gioia, un momento “speciale” della loro esistenza (non le interessavano cose brutte, dolorose, aveva bisogno di positività., aveva bisogno di alimentare la sua sorgente di ottimismo). Sì, è vero, sembrava quasi un po’ una cosa da “stalker”, a volte ci pensava e ne rideva: “Chissà che cosa penserebbero se sapessero..”. Ma fortunatamente, o sfortunatamente, nessuno poteva saperlo perché di solito nessuno si curava mai di lei: si limitavano agli occhiali spessi, le rughe, il volto stanco e l’aria un po’ trasandata (da brava ragioniera). Nessuno aveva mai osato chiedersi che cosa ci fosse al di là; al di là delle apparenze. Ma lei non era come gli altri, voleva sempre provare a guardare oltre, ad oltrepassare il velo.

La sua attenzione convogliò dapprima sulla donna araba, la trovava molto curiosa, anche se a primo acchito sembrava assolutamente normale: una donna intenta a sbraitare al telefono (con un parente, forse) e a masticare un chewingum, in un autobus; forse era stata proprio la sua apparente normalità a catturarla…” chissà che cosa si cela dietro i suoi occhi di ossidiana e la sua pelle cotta dal sole..” pensava guardandola. E, soprattutto si chiedeva, ascoltando la rumorosa cacofonia che fuoriusciva dalla sua bocca, se della poesia potesse mai nascondersi dietro tutta quell’apparente banalità. Forse il velo non copriva solo i suoi capelli, ma anche la sua anima, e lei voleva assolutamente sapere cosa vi si celava. Così, quasi per gioco, iniziò a sollecitare la fantasia tratteggiando mentalmente, quello che sembrava un piccolo villaggio assolato, circondato da dune di sabbia e roccia; un villaggio anonimo, della stessa risma della casetta marrone vicino ad un mucchio di grosse rocce.

Dipinto di Mark Preston. Se dovessi dare un titolo a quseto quadro lo chiamerei: pensieri sparsi al vento…

Fu lì che riuscì a scorgerla: una donnina avvolta da abiti più pesanti di lei mentre si sbracciava per richiamare i suoi figli, persi in chissà quale infantile fantasticheria: qualcosa sembrava aver attirato la loro attenzione e infatti la più piccola iniziò a gridare: “guarda mamma, guarda… un fiore bellissimo nel deserto, lì… tra le rocce!!” e dopo essersi avvicinata e averlo visto con i suoi occhi, iniziò a sorridere, quasi inaspettatamente.

Sorrideva perché non si può non sorridere quando spunta un fiore meraviglioso, tra le rocce, nel deserto. Non sarebbe umano, e lei non stava immaginando la vita di un androide, ma di una donna lasciata per troppo tempo tra le dune del deserto. Forse “occhi di ossidiana” era proprio come quel fiore: una gemma intrappolata nelle sabbie, un fiore che qualcuno aveva finalmente notato, anche se lasciato al sole per troppo tempo. Guardandola meglio, infatti, poteva percepire una sorta di malinconia, sopita nei suoi occhi; un genere di malinconia che poteva derivare solo dall’assenza di amore, dalla mancanza di attenzioni nei suoi riguardi. “Chissà..” – pensava toccandosi gli occhial,- “chissà quante volte avrà sorriso per davvero..”. Una domanda alla quale era difficile rispondere, o impossibile nel caso in cui non si avesse dimestichezza con il concetto di “ sorriso autentico”. Fortunatamente, lei era in grado di riconoscerli e infatti non le interessavano i sorrisi finti tipo quelli che si regalano ad una zia antipatica, a capodanno; no, soltanto quelli veri erano degni di nota.

Quelli che ti riempiono e che emanano una sorta di luce, che può essere vista da tutti. Quelli erano veri sorrisi!! Purtroppo, “occhi di ossidiana”, non sembrava averlo fatto spesso. Come doveva essere triste il “broncio perenne”, l’impossibilità di donare un po’ di luce a sé stessa o agli altri. Ma, almeno nella finzione, nell’artificio mentale che aveva creato, “occhi di ossidiana” aveva sorriso; sorriso per davvero. Spesso tendiamo a sottovalutare l’enorme energia che risiede nelle nostre menti, la loro infinità capacità creativa: basti pensare a quello che era appena accaduto tra lei ed “occhi di ossidiana”: in un secondo, una perfetta sconosciuta era riuscita ad insediarsi nella sua mente e nella sua vita, lasciando un piccolo segno; un’impalpabile ricordo. Sfortunatamente però il legame profondo che le aveva unite in un lampo svanì, e come un angola di fumo lei si dissolse; ma nonostante non si fossero mai viste prima di allora, sperava comunque di riuscire davvero, un giorno, a sorridere in quel modo, e ad eliminare quel broncio.

Sembrava quasi assurdo che una donna come lei potesse avere un’immaginazione così fervida, nonostante il suo sodalizio con i numeri (era pur sempre una ragioneria in pensione). Ma ne aveva bisogno, di sognare, e quei momenti per lei, in cui si abbandonava all’assurdità, erano preziosi quanto quelli spesi nella realtà. E allora perché indugiare? Di tempo ce n’era ancora e poteva quindi concedersi un’altra allettante “avventura” .Il suo “occhio interiore” aveva già trovato un nuovo “oggetto d’interesse”: il ragazzino. Quello col giubbetto rosso seduto due file davanti a lei.

Una volta scelta la “vittima” non restava che sollecitare nuovamente il misterioso “motore” della fantasia, che in un baleno le regalò nuove entusiasmanti proiezioni: riusciva a vederlo sul letto, con gli occhi grandi spalancati, mentre il padre gli leggeva le fiabe, così come il suo faceva con lei. Lo vedeva correre libero, come un colibrì, lungo i prati insieme ad altri bambini, con il suo bel giubbetto rosso.

Poteva quasi sentire i suoi pensieri, la sua eterna sorpresa difronte al mondo. Una sensazione che raramente gli adulti sperimentano, soprattutto quando sono ormai vecchi e stanchi. Mentre la sua mente dava vita a quella enorme nebulosa di ricordi e invenzioni, accadde qualcosa di davvero inconsueto: il bambino l’aveva guardata, nel mondo reale, lì nel bus! E non era sguardo normale, superficiale: la stava guardando dentro. “Forse se ne è accorto, mi ha scoperto; ha scoperto il bislacco passatempo di una pragmatica e seriosa ragioneria in pensione.. ”. Si guardarono entrambi per pochi istanti, lui le sorrise, lei sorprendentemente ricambiò, istantaneamente. Poi lentamente lui si girò e ritornò a fissare il finestrino impolverato del bus. Cosa avrà visto?? Forse l’aveva vista circondata dal verde smorto della cucina, che si accompagnava perfettamente all’olezzo di cavolo bollito che la contraddistingueva, mentre sorseggiava il suo tè, sulla sua tazza sbeccata di ceramica, in compagnia della voce gracchiante ed elettrica della Tv.

Dipinto di Daniel F. Gerhartz.

O l’aveva vista mentre cercava, disperatamente, di far quadrare i conti con la misera pensione che riceveva dopo la morte del marito? Non poteva saperlo, ma lo desiderava. Anche se, ne era certa, in quel sorriso c’era una sorta di… consapevolezza; una consapevolezza che non poteva derivare dalla “scoperta” di miseri sprazzi della sua routine quotidiana, no… aveva visto qualcos’altro, o per meglio dire l’aveva intuito; qualcosa di importante, di “speciale”. Poteva un bambino (o qualsiasi altra persona) trascendere l’ordinario e arrivare a guardare nel profondo, non solo della vita di una persona, ma della sua anima? Poteva aver visto la luce che, nonostante il buio, la solitudine, continuava a splendere dentro di lei? Quell’inesauribile, anche se piccola, “nana bianca” che alimentava il suo cuore e la sua anima (e le sue assurde fantasie); la stella che la guidava e la portava a sorridere, nonostante tutto. Voleva saperlo, e lo guardava attendendo qualcosa: un segnale, uno sguardo complice che dicesse: “io ti capisco… per un attimo ti ho visto”.

Insomma, voleva una conferma! Ma, purtroppo, non la poté mai ottenere: uno squallido rumore meccanico la “svegliò” da quella strana e intensa fantasia, quella “mistica” comunione di pensieri e, soprattutto, anime. Tutto questo solo per far salire altri passeggeri (e con suo sommo rammarico, il suo disappunto venne enfatizzato dalla consapevolezza che quella era proprio la sua fermata, e che quindi doveva scendere!). Rassegnata, non le restava che accontentarsi del sorriso (pur sempre prezioso) e mentre si alzava, diede un’ultima occhiata ai suoi “compagni d’avventura”. Poi, con i suoi pesanti bustoni, scese le scalette del bus tornando alla sua vita di sempre, con la consapevolezza che qualcuno aveva almeno tentato di sollevare, per un istante, il velo che copriva la sua anima.

Marco Capriotti

MARCO CAPRIOTTI:
ha 24 anni, è uno studente di scienze politiche e vive nelle Marche, a Grottammare. Ama i gatti, il cielo stellato, la musica e la letteratura.

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7 Responses to “Oltre il velo”

  1. Claudia Tagliabue scrive:

    Complimenti Marco !!! Scienze politiche????? Ti piacerà sicuramente, ma non smettere di scrivere… sarebbe un vero peccato !!! Racconto profondo, con una interiorità notevole !!! Hai ragione, ci si ferma SEMPRE all’apparenza, ma cosa ci sarà dietro al “velo” ??? Devo confidarti, che capita anche a me di “ricamare” una vita sconosciuta… Uso spesso i mezzi pubblici e altrettanto spesso, incontro persone interessanti (ai miei occhi) ed ecco che scatta la curiosità…. Bravo, bravo, bravissimo !!!

  2. Marco Capriotti scrive:

    Grazie mille per il commento, mi ha fatto molto piacere :) comunque, lo confesso, spesso capita anche a me!! Quando vedo persone che attirano la mia attenzione cerco sempre di immaginare cosa possa celarsi dietro il loro sguardo, o un loro gesto… o mi diverto ad immaginare frammenti della loro quotidianità, cercando di intuire il loro modo di fare e pensare . Magari detto così suona un po’ da “stalker” però credo capiti un po’ a tutti, a volte.. 😀 (soprattutto quando ci si annoia nei mezzi pubblici eheh).

    • Claudia Tagliabue scrive:

      Beh lo stalker è tutt’altra cosa, si sà. Noi ci limitiamo a fantasticare intorno all’ esistenza di alcune persone, che comunque, attirano la nostra attenzione per un motivo qualsiasi… Facci caso Marco, non ci soffermiamo su tutti, solo su alcuni, perché, secondo te ??? Probabilmente posseggono ( e nn lo sanno), un non so che di particolare…. Ultimate…. ci si annoia davvero sui mezzi pubblici….!!! Buon lavoro e soprattutto fai sapere, tramite Cristina, l’epilogo della tua laurea…. In bocca al lupo !!!

      • admin scrive:

        Sono d’accordo anch’io con te, Claudia! Spesso capita pure a me di guardare una persona, attirata da qualche particolare, istintivamente. Comunque in generale le altre persone mi interessano sempre. Non sono mai vissuta chiusa in un guscio. I rapporti umani sono tanto importanti! Arricchiscono sempre! Grazie Claudia perchè ci segui sempre con tanta attenzione!

  3. Imma scrive:

    Bravo veramente un bellissimo racconto…
    Come Claudia anch’io nei treni osservo tanto le persone e fantastico sulla loro vita cercando poi qualsiasi cosa che possa confermare le mie fantasie.
    Continua così :)

  4. Marco Capriotti scrive:

    grazie mille Imma, sono contento che il racconto ti sia piaciuto!! :)

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