Intervista a Giovanna Cavazzoni fondatrice di VIDAS, che dà assistenza gratuita ai malati terminali.

Giovanna Cavazzoni, 81 anni, nella bilioteca di Casa Vidas, la sede dell’associazione da lei fondata nel 1982. Si tratta di una realtà unica. In questi trent’anni, la Vidas ha dato assistenza, in Lombardia a oltre 27 mila i malati.

Esistono realtà che lasciano a bocca aperta per lo stupore e la commozione e che, in questa epoca che pare fatta solo di ruberie e violenza, brillano come gioielli al sole. VIDAS è una di queste meravigliose realtà.

Giovanna Cavazzoni con una foto del padre, Stefano Cavazzoni, che fu senatore e che fondò, insieme a don Orione, il “Piccolo Cottolengo” di Milano. Da bambina, la signora Giovanna conobbe molto bene don Orione e imparò dal suo esempio l’importanza del volontariato.

VIDAS è un’associazione che opera a Milano. Da trent’anni fornisce assistenza gratuita a domicilio ai malati terminali in città e in 104 comuni della provincia. E presso un hospice dotata di venti stanze all’avanguardia. “Malati terminali” e “assistenza gratuita”: sono parole che subito mi hanno colpito la prima volta che le ho sentite.

Ho pensato alla straziante condizione di una famiglia con un parente ammalato senza più speranza, alla paura e alla totale inadeguatezza di fronte alle decisioni da prendere. E a quanto, allora, possa dare sollievo un’associazione che viene in aiuto con dolcezza e competenza. Ho voluto saperne di più e ho scoperto che dietro a VIDAS c’è una bellissima storia fatta di valori, di carità, di volontariato. E anche dell’incontro con un santo, don Luigi Orione.

Giovanna Cavazzoni con Sergio Muniz. La sala di fisioterapia dell’hospice di VIDAS è stata donata da Sergio Muniz dopo la sua vittoria alla seconda edizione de “L’isola dei Famosi”.

La fondatrice di VIDAS si chiama Giovanna Cavazzoni. C’è chi conosce il suo nome soltanto perchè è la ex moglie di Claudio Abbado, il famoso direttore d’orchestra. Ma c’è anche chi la conosce per la dedizione con cui, per tutta la vita, si è occupata del prossimo. Ed è proprio questo aspetto che ho voluto farmi raccontare da lei.

Ottantuno anni, elegante e ricca di fascino, la signora Cavazzoni mi ha trattato con grande gentilezza e ha condiviso con me i suoi ricordi di bambina, di ragazza, e le esperienze che sono state alla base della sua decisione di aiutare chi sta affrontando l’ultima, grande avventura della vita.

“Quando si tratta di malati terminali, in genere si dice che non c’è più nulla da fare. In realtà di cose da fare ce ne sono ancora moltissime”, mi ha detto la signora Cavazzoni. “Purtroppo, non c’è un altro modo per dirlo: oggi si muore male. Questo accade perché la cultura odierna ha allontanato l’idea della morte. E si vive come se si fosse eterni senza essere perciò preparati alla fine. Ma noi di VIDAS cerchiamo di andare controcorrente, ci opponiamo a questo modo di pensare. Facciamo il possibile per accompagnare le persone che nell’ultimo percorso della loro esistenza, con amore, dolcezza e attenzione.”

“In questi trent’anni, abbiamo dato assistenza a oltre 27 mila malati. Sempre gratuitamente. La nostra è un equipe socio-sanitaria composta da 70 figure professionali, specializzate in Terapia del Dolore e Cure Palliative, e da volontari, selezionati e formati per l’accompagnamento e il sostegno del malato e della sua famiglia.
VIDAS è un po’ la sintesi di tutta la mia vita, di tutto ciò che ho imparato e che le persone che ho incontrato mi hanno insegnato. Sono cresciuta respirando affetto e amore. Ma anche respirando la terra, la natura e i valori del mondo contadino perché dai cinque ai quattrodici anni sono vissuta in due piccoli paesini di campagna vicino a Lecco.”

Giovanna Cavazzoni con Giovanni Allevi dopo un concerto di beneficenza che il musicista ha tenuto nella sede di VIDAS.

L’autenticità della gente mi è stata di grande insegnamento. La mia era una famiglia numerosa, eravamo in undici. C’erano diverse persone anziane e così, fin da piccola, ho conosciuto la vecchiaia, la morte. E ho imparato a rispettarle. Ero una ragazzina curiosa, ascoltavo molto i vecchi e la loro saggezza contadina mi ha insegnato che nulla è eterno.

Basta pensare alla vigna: la si coltiva con amore e impegno ma basta una grandinata e tutto finisce. La morte, la fine dell’esperienza terrena, è così: va affrontata con naturalezza e con dignità. Un tempo, nei paesi di campagna, tutti si riunivano attorno a chi stava morendo. Si lasciava questa terra accompagnati, circondati da affetto e comprensione. Non ho mai avuto difficoltà ad ammettere che vivere in un piccolo paese è stato alla base della mia educazione.

L’esempio fondamentale è venuto però da mio padre Stefano che era una persona straordinaria. Emigrato povero dall’Emilia, aveva un senso politico acuto e pulito tanto che a ventitrè anni era già il più giovane consigliere comunale di Milano. Poi fu ministro e infine senatore. Da lui ho imparato il rigore associato alla fantasia più libera. E questi sono valori che ho voluto anche in VIDAS. I nostri operatori hanno infatti il rigore della preparazione più seria e attenta, e la gioia di accontentare le richieste dei pazienti. Fu mio padre ad incoraggiarmi a frequentare don Orione.

Ho conosciuto don Luigi Orione nel 1937. Lo ricordo molto bene. Con papà e mamma stavo passeggiando lungo i Navigli. Una campanella ci ha attirato in una piccola chiesa e lì, sulla porta, c’era un prete dalle orecchie enormi ma lo sguardo come il fuoco. Era don Luigi Orione e disse a mio padre: “Senatore, la stavo aspettando”. Papà rimase molto colpito da quelle parole. Non ho mai saputo bene cosa avesse voluto dire ma era destino che loro due si incontrassero perché tra mio padre e don Orione ci fu come un colpo di fulmine.

Tornando a casa, mia madre diceva: “Quel prete mi sembra un pazzo. Non gioverà alla tua reputazione.” Mio padre invece non diceva nulla, era pensieroso. Il giorno dopo don Orione venne a casa nostra. Sentiamo suonare alla porta e mia nonna va ad aprire. Poi ci annuncia: “C’è uno strano prete…..” Don Orione entra, saluta e si rivolge subito a mia madre: “Sono venuto per dirle che con me suo marito non perderà nulla della sua ottima reputazione”. Mio padre fondò con lui Piccolo Cottolengo che io vidi nascere pietra dopo pietra.

Dario Fo durante una conferenza tenuta nella sede di Vidas per raccogliere fondi.

Mi consigliò di andare ad aiutare e da quel momento sono vissuta per il volontariato. Ho insegnato all’istituto penale femminile Nazareth, ai Mutilatini di Don Gnocchi, all’Opera di san Vincenzo. Ma ho anche frequentato il Conservatorio, studiavo canto. E’ lì che ho incontrato Claudio Abbado. Poi ci siamo sposati nel 1956. Siamo andati a vivere a Vienna per frequentare l’Accademia: io studiavo canto e Claudio direzione. Scoppiò la rivoluzione in Ungheria e migliaia di profughi vennero in Austria. Noi giovani musicisti andavano nei campi di accoglienza a dare una mano e ricordo che Claudio e Zubin Metha organizzavano dei concerti per intrattenere tutte quelle persone.

Poi, nel 982 ho fondato VIADS. Avevo in mente una persona in particolare. Si chiamava Rina Torricelli ed era una corista della Scala che mi seguiva quando, a sedici anni, studiavo pianoforte e canto. Eravamo amiche. Poi si ammalò di cancro e fu lasciata sola. A quel tempo era una malattia da tenere nascosta, che faceva il vuoto attorno a chi ne era vittima. Io però non abbandonai Rina e per due anni le fui vicino.

Ricordo che mi chiedeva di lasciare una sedia accanto al letto prima dell’arrivo del medico. “Così capisce che se si siede qui cinque minuti e mi tiene la mano, per me è meglio di una medicina. E mi aiuta ad essere meno timida nel fargli quella benedetta domanda: quanto tempo mi resta?”, diceva. Quell’esperienza e quelle parole mi colpirono molto. E’ la stessa domanda che fanno i malati ancora oggi.

Giovanna Cavazzoni con l’ex marito Claudio Abbado, in una foto degli anni Sessanta con i figli Daniele ed Alessandra.

Adesso VIDAS è la mia vita. Lavoro giorno e notte e sono sempre alla ricerca di fondi e donazioni. “Batto cassa” presso banche e milionari. La struttura ha bisogno di almeno otto milioni di euro l’anno per assicurare il suo servizio gratuito. Troppo spesso però mi scontro con l’avarizia dei ricchi ed è disarmante. Facciamo tutto il possibile e anche il mio ex marito, Claudio Abbado, è molto affezionato a quest’opera e spesso organizza concerti per aiutarci.

Altri artisti ci hanno dato una mano come Dario Fo, Giovanni Allevi e anche Sergio Muniz che dopo la sua vittoria all’Isola dei Famosi nel 2004 ci ha fatto un’importante donazione. E’ un ragazzo d’oro e grazie a lui abbiamo una sala di fisioterapia all’avanguardia.>>

Roberto Allegri
robi.allegri@gmail.com

CHI SONO

L’autore dell’articolo, il giornalista e scrittore Roberto Allegri, durante l’intervista con Giovanna Cavazzoni nella bibliotreca della sede di VIDAS.

Per saperne di più sull’associazione si può visitare il sito www.vidas.it

Il servizio fotografico è di Nicola Allegri
Proibita la riproduzione del testo e delle fotografie senza citare autori e fonte di provenienza.

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2 Responses to “Intervista a Giovanna Cavazzoni fondatrice di VIDAS, che dà assistenza gratuita ai malati terminali.”

  1. Angela Ceci scrive:

    ROBERTO QUESTA INTERVISTA ,MI HA FATTO CA PIRE TANTE COSE IO MI RATTRISTO DEI MIEI TRASCORSI MA C’E’ CHI LOTTA PER LA VITA INVECE IO MI SONO LASCIATA ANDARE PERCHE’PENSAVO CHE LE MIE SOFFERENZE ERANO PIU ‘GRANDI! INVECE NON E’ COSI CI SONO SOFFERENZE BEN PIU ‘ PIU GRANDI! AMMI RO GIOVANNA CHE CON LA SUA VENERANDA ETA’ STA DANDO AIUTO A CHI HA BISOGNO DI ESSERE CONFORTATO ! NON SO PIU’ DIRE NULLA PERCHE’ MI VERGOGNO PERCHE’ FORSE SONO STATA EGOISTA PENSAVO SOLO AL MIO DOLORE E NON PENSAVO AGLI ALTRI CHE SOFFRONO DI UNA MALATTIA CHE NON SI SA MAI SE NE ESCI VIVO! IN FONDO LA MIA MALATTIA LA DEPRESSIONE NON E’ NIENTE !!

  2. Cara Angela, anche la depressione è una malattia pesante da sopportare. E mai da sottovalutare. La sofferenza è terribile come per OGNI malattia. Allora tanto coraggio e non credo che tu sia una persona egoista, che non pensi agli altri. Al contrario, mi pare che tu abbia un cuore grandissimo. D’altra parte quando si è malati si pensa soprattutto a guarire; e in quel momento è importante concentrarsi sulla PROPRIA lotta per la sopravvivenza. Per noi stessi e quindi, automaticamente, anche per chi ci ama e ci è vicino. Un abbraccio, Cristina

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