CityLife, Milano si rifà il look

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CityLife, il nuovo volto “emblematico e riconoscibile” della Milano del terzo millennio o un banale clone di altre anonime città del mondo, senza identità e senza storia?

Nel suo “Libello”, nel 1938 Carlo Emilio Gadda scriveva: “Milano è una brutta e mal combinata città ….” , e, diciamocelo, non aveva tutti i torti.

Ma ora Milano ha l’occasione per riscattare questa fama negativa, causa da sempre di una sorta di complesso di inferiorità nei confronti delle altre città storiche d’Italia (Firenze, Roma, Napoli ecc.), rifacendosi il look in occasione del prossimo Expo del 2015. E’ iniziato infatti il più faraonico cantiere edilizio di tutti i tempi, quello che costruirà in pochi anni CityLife, progetto su ben 365.748 mq di superficie destinato a riqualificare il quartiere storico della Fiera di Milano e con esso l’intera città. L’intenzione dei promotori è quella di creare per Milano “un nuovo centro”, che sia “emblematico e riconoscibile”.

Naturalmente, per questo immane lavoro di progettazione, è stato necessario rivolgersi ad un team di professionisti che, in epoca di globalizzazione, non poteva che essere internazionale.

Zaha Hadid, Arata Isozaki, Daniel Libeskind e Pier Paolo Maggiora, ecco i magnifici quattro che cambieranno per sempre lo skyline di una piatta città di pianura: culla del Romanico, connotata dalla pesantezza delle sue antiche strutture di mattoni, colorata dai toni caldi delle argille padane, Milano ospiterà in CityLife tre torri tra i 170 e i 220 metri di altezza, sofisticatamente tecnologiche, di estrema libertà progettuale e di grande significato iconografico.
La Milano del futuro sarà senz’altro rappresentata da quelle torri, vero e proprio logo di una metropoli all’avanguardia, allineata con le altre grandi città del pianeta.

I progettisti fanno parte di un firmamento di protagonisti dell’architettura moderna per i quali è stato coniato il termine ‘archistar’: sono personaggi ibridi di architetti-artisti, progettisti-manager, e soprattutto grandi comunicatori ed abili interpreti dello showbusiness che manovra gli interventi architettonici di questi livelli. La loro architettura, ad alto contenuto spettacolare, utilizza con grande abilità mediatica le stesse modalità di propaganda della pubblicità e del marketing.

Naturalmente, poiché l’archistar progetta in ogni angolo del mondo dove la sua fama ed il flusso dei capitali lo portino, ne discende che i suoi progetti debbano utilizzare un linguaggio di valenza universale che, per andare bene dovunque, finisce per essere inevitabilmente generico, indifferente alla specificità culturale ed alla tradizione identitaria dei luoghi in cui si colloca l’intervento.

Ed infatti, torri come queste, magari degli stessi progettisti, giocate su poche varianti stilistiche e dimensionali, si possono vedere a New York come a Shangai come a Berlino, dove le stesse torri di Milano si potrebbero collocare tali e quali e viceversa.

Lo spazio costruito è sempre stato paradigma della struttura sociale di una nazione e di un popolo, poiché l’architettura e l’urbanistica hanno sempre rappresentato il prodotto del confronto dialettico socio-politico all’interno delle comunità. Oggi ciò non accade più, neanche, a quanto pare, in territori come quello italiano, caratterizzato da radicate pre-esistenze culturali ed ambientali difficili da accantonare, da un prezioso retaggio architettonico-paesaggistico fortemente identitario.

Passati i tempi in cui l’architetto valeva per il risultato prodotto, oggi assai meno importante del suo artefice, è nata l’architettura d’autore, monumento alla vanità personale di pochi eletti, con pretese comunicative sovra-culturali dirette ad anonimi e generici cittadini di un mondo senza confini.

Vanificata l’idea dell’altrove grazie a tecnologie sempre più sofisticate che ci portano direttamente in casa, con la televisione, il display del cellulare, lo schermo cinematografico, un mondo sempre più piccolo e più vicino, anche l’architettura è diventata immagine, anch’essa esprimendo la frammentazione e la generalizzazione che distinguono la cultura moderna.

Il progetto di CityLife, come appariva scontato, ha suscitato innumerevoli reazioni e commenti da tutte le parti, sia di gente comune che di addetti ai lavori, a sintesi voglio citare una frase tratta da un articolo di Marco Romano, che personalmente condivido, comparso sul ‘Corriere della Sera’ dell’11 maggio 2008 : “Le città hanno, come le persone, un carattere radicato nel loro passato che permane nel tempo e che è difficile modificare. Sicché, se Barcellona e Torino hanno colto nell’ ultimo ventennio l’ occasione delle Olimpiadi per affermare la propria vocazione culturale nell’ architettura, a Milano la curiosa ostinazione sul progetto CityLife dimostra soprattutto la continuità del dubbio gusto tradizionale delle amministrazioni milanesi.

Uffici e residenze, parchi, giardini, strani musei, avveniristiche strutture culturali e ricreative fra pochi anni saranno una realtà per quanti si aggireranno per CityLife, la città delle meraviglie, possibilmente scordandosi di essere milanesi, lombardi, italiani, magari fingendosi di stare ad Honk Kong o a Dubai.

Tanto è lo stesso.

Vilma Torselli
http://www.artonweb.it
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2 Responses to “CityLife, Milano si rifà il look”

  1. Bellissimo Post, complimenti. Blog inserito tra i preferiti.

  2. […] CityLife, Milano si rifà il look CityLife, il nuovo volto “emblematico e riconoscibile” della Milano del terzo millennio o un banale clone di altre anonime città del mondo, senza identità e senza storia? Nel suo “Libello”, nel 1938 Carlo Emilio Gadda scriveva: “Milano è una brutta e mal combinata città ….” , e, diciamocelo, non aveva tutti i torti. blog: Il Cofanetto magico | leggi l'articolo […]

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