Combattere un’ingiustizia con l’abolizione del fallimento. Intervista a Roberta Niccacci.

Oggi vorrei fissare la vostra attenzione e quella delle autorità competenti affinché possano intervenire sul tema del fallimento di tante aziende, soprattutto a carattere familiare, che porta alla distruzione non solo di un bene prezioso ma anche della vita di persone perbene la cui unica colpa è stata quella di dedicarsi anima e corpo al lavoro.

Per affrontare questo doloroso argomento ho intervistato nuovamente Roberta Niccacci che già avete conosciuto in un precedente articolo. Roberta è cresciuta nell’azienda artigiana della sua famiglia, la CAMA, di Deruta, in provincia di Perugia, che produceva bellissime majoliche artistiche, esportate in tutto il mondo; chiusa nel 2011 per fallimento.

Che cosa è successo in seguito, che cosa succede adesso e come si può combattere contro l’ingiustizia dei fallimenti lo potete leggere direttamente via l’intervista alla protagonista di questa triste storia.

Roberta Niccacci, quali furono le cause principali che portarono alla dichiarazione di fallimento della CAMA?

La nostra azienda ha fatto l’errore di investire nell’ampliamento del laboratorio nel 1999 tramite un mutuo ipotecario in prossimità del cambio lira/euro e della caduta delle Due Torri. L’Europa aveva aperto un bando e il Comune di Deruta spingeva per la sistemazione della fabbrica; Il fatturato era in crescita ma, come scrivono i saggisti, il benessere era “drogato”. Gli unici che sapevano della crisi incombente erano le banche, che sempre nel 1999 hanno trovato la scappatoia delle cartolarizzazioni. Con l’ulteriore crisi del 2008 ci siamo ritrovati con un sovraindebitamento. Coi nostri soldi il Comune di Deruta acquistò un mezzo di trasporto tipo Ape Piaggio ad uso dei suoi operai.

Eppure voi eravate leader del Made in Italy con le vostre pregiate majoliche! Una grande perdita anche per lo Stato italiano!

Eravamo un’azienda leader esportatrice per più del 95% del fatturato a negozi di nicchia e privati nel mondo. Ci eravamo specializzati in servizi per la tavola e siamo stati nelle migliori riviste e libri di cucina negli Stati Uniti; Starbucks scelse i nostri pezzi per la copertina di “Passion for Coffee”. La CAMA era una fabbrica storica di Deruta, nata originariamente come cooperativa negli anni Cinquanta. Era considerata dalla nostra clientela “La Chanel di Deruta” e nel corso degli anni ha dato lavoro a più di cento dipendenti.

Lei sta combattendo in prima persona contro quella che definisce un’ingiustizia, un massacro di intere famiglie e di una Costituzione italiana che “dovrebbe” essere fondata anche sul valore del lavoro. In che modo intende portarla avanti?

Intendo portare avanti una mia battaglia, contattando personalità del governo, altri falliti, avvocati, per fare massa critica affinché si conosca che cosa si prova in un’esperienza di fallimento. Inoltre esiste una disparità di fondo nel trattamento dei lavoratori: i nostri dipendenti hanno percepito di tutto e di più; cassa integrazione, tfr, disoccupazione.
Noi imprenditori non siamo altrettanto tutelati. Siamo abbandonati dalle istituzioni e dalle associazioni di categoria, nonché dai sindacati: non abbiamo sentito più nessuno e nessuno si interessa di noi come azienda neanche a Deruta. La crudeltà del fallimento sta anche nella spietarezza di quest’esperienza: sei marchiato a vita e per i falliti non esistono iniziative di inclusione sociale. Il valore del nostro lavoro, anche in termini di know-how, non viene stimato dalla comunità. Sei un concorrente in meno.

Perché lo Stato invece di aiutare tante persone perbene con aziende fallite, le lascia al loro destino, a maggior ragione durante la pandemia del Covid-19 che ha colpito tutto il mondo?

La ragione per me è che in Italia non esiste una cura del contribuente. Ogni cittadino viene considerato come un potenziale criminale dal punto di vista contributivo e quindi a maggior ragione quando esiste un problema di natura economica, di cui il cittadino viene ritenuto responsabile, lo Stato lo lascia al destino più crudele di una legge sul fallimento, che risale al tempo del Fascio.
Lo Stato non va quindi ad indagare sulla storia di un’azienda e sulla perdita che essa può procurare alla comunità e al mercato con la sua chiusura: prima vengono i diritti dei dipendenti, che non vengono sensibilizzati al buyout e poi le banche, che sono privilegiate rispetto alle aziende, grazie alle cartolarizzazioni e alla non prescrizione del credito. La macchina dei fallimenti non si ferma davanti a nessuna crisi. Ci sono troppi interessi per tenerla viva. In Italia è una vera e propria industria.

Per finire, ci può spiegare il significato della bella locandina pubblicata qui sotto, inerente le puntate sulla storia della CAMA? Mi ha incuriosita molto. Di che cosa si tratta?

Dal mese di maggio scorso è stata lanciata una serie di puntate a cadenza mensile sulla storia della CAMA a cura del Centro Cagianelli per il ‘900 di Pisa diffusi su facebook. Con quest’iniziativa ho recuperato le interviste ai soci della CAMA ancora viventi e ai discendenti, che avevo già realizzato nel 2015. La locandina raffigura il piatto dipinto alla CAMA da un mio zio negli anni Cinquanta, quando non aveva neanche la maggiore età, una riproduzione rinascimentale. Dalle parti un grazioso decoro di produzione della CAMA degli esordi. Altri risultati degli studi da me effettuati, alla ricerca delle radici rinascimentali del nostro artigianato artistico, si possono trovare nel mio blog fondato nel 2009 www.friendsofcama.blogspot.com. Da gennaio il blog parla italiano e racconta per la prima volta una storia di fallimento. Verso quale ripartenza?

Maria Cristina Giongo
CHI SONO

Roberta Niccacci è laureata in lingue e letterature straniere moderne all’Università degli Studi di Perugia. Parla correntemente inglese, francese e tedesco. È… una pioniera Erasmus e ha condotto gli studi per la sua tesi di laurea alla Sorbonne Nouvelle Paris III. Originaria di Deruta (PG), ha prestato la sua formazione umanistica a servizio della clientela dell’azienda artigiana di famiglia, che ha chiuso i battenti nel 2011. Da allora ha condotto studi a valorizzazione del territorio per nuovi modi di fare impresa nell’artigianato artistico, partendo da arte e cultura. Il suo grande sogno è di fondare un’azienda che trasformi in realtà la sua esperienza di questi anni. Dal dicembre 2020 è un’imprenditrice in ripartenza presso la Onlus “100.000 ripartenze” con sede a Treviso.

Link, ad una precedente intervista a Roberta Niccacci.

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2 Responses to “Combattere un’ingiustizia con l’abolizione del fallimento. Intervista a Roberta Niccacci.”

  1. Maristella Grillo scrive:

    Complimenti Maria Cristina, bellissima e interessante intervista.
    Conosco molto bene, la storia di fallimento dell’azienda familiare la Cama, raccontata proprio dalla stessa Roberta Niccacci, una gran bella persona con tante competenze e qualità. Auguro di cuore a lei e la sua famiglia tanto ottimismo, coraggio e positività nell’affrontare tutte le insidie che seguono dopo un fallimento!
    Forza e coraggio, sono certa che dietro un fallimento c’è sempre una rinascita!!!

    Un caro saluto Maria Cristina e anche a te Roberta Niccacci.

    Maristella

    • admin scrive:

      Grazie di cuore per i tuoi, come sempre, bellissimi commenti; scritti con il cuore, oltre che con la mente. Un abbraccio

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