Gli attacchi di panico

GLI ATTACCHI DI PANICO: UN TERRIBILE SENSO DI MORTE INCOMBENTE.

Panico

Oggi parleremo di un’argomento molto importante: gli attacchi di panico. Ci siamo rivolti ad una psicologa psicoterapeuta, la Dottoressa Marcella Dittrich, che ci ha spiegato con chiarezza e professionalità i risvolti di questo sconvolgente “fenomeno” emotivo incontrollabile, che provoca tanta sofferenza in chi ne viene colpito.

Come si può uscire da questa luttuosa, paralizzante voragine senza fondo, che forse ha origini familiari?

COME SI MANIFESTANO.

L’attacco di panico può avere diverse modalità nel presentarsi; di solito la persona inizia a sentirsi angosciata e a percepire dei cambiamenti nel corpo che segnalano una sorta di cedimento interno (di frequente riferisce la sensazione come di un’improvvisa mancanza di ossigeno oppure come se il cuore inizi a battere all’impazzata, o ancora un inquietante senso di vertigine). È un po’ come se il pavimento su cui si sta in piedi stia per crollare, con il rischio di essere inghiottiti in una voragine senza fondo.

L’attenzione si fa vigile nel cogliere tutti i cambiamenti del corpo in atto e l’ansia aumenta di intensità, convincendo il malcapitato di essere nell’imminenza della propria morte. La paura dilaga, diventa vero e proprio panico incontenibile, un fenomeno emotivo travolgente, non controllabile. Pare che i primi segnali che scatenino il terrore- panico siano di natura psichica; gradualmente innescano reazioni neurochimiche e neurovegetative (aumento della pressione arteriosa, sudorazione, palpitazioni). Per questo è importante riconoscere quei segnali e analizzarli nel colloquio clinico per ‘disinnescare’ l’insorgere della crisi.

E’ diverso dal semplice attacco d’ansia perché il paziente, pur percependo i sintomi fisici che indicano un cambiamento anomalo è in grado di tenere sotto controllo la preoccupazione per non farsene travolgere.

Anche quando la persona ha fatto esperienza di diversi attacchi di panico e quindi razionalmente dovrebbe essere consapevole del fatto che non muore ‘veramente’ ma che è ‘solo’ preda di un’angoscia non arginabile, non riesce a farsene una ragione e quando i sintomi dell’attacco di panico tornano a manifestarsi il terrore di morire li annichilisce di nuovo.

Una volta che il primo attacco si è manifestato esso ha la tendenza a ripetersi; è come se si fosse tracciato nel cervello un percorso preferenziale che tende a riprodursi automaticamente.

Una fervida immaginazione facilita l’innescarsi della crisi: il malcapitato ad esempio è convinto che veramente sta per rimanere bloccato nel traffico e non potrà uscirne, oppure che è inesorabilmente vittima del proprio infarto di cui è spettatore; o ancora che l’ascensore in cui si trova stia per sfracellarsi nella tromba delle scale.

A volte le situazioni in grado di scatenare le paure sono circoscritte e tali rimangono; il loro insorgere potrebbe essere legato ad un momento di particolare stress che ha contribuito a far sentire la persona fragile ed esposta ad eventi esterni; a volte scompaiano con il semplice passare del tempo oppure si modificano; invece nelle situazioni ingravescenti la paura si estende a macchia d’olio e gli attacchi si fanno sempre piu’ invasivi e ripetuti, fino a costringere le persone a confinarsi dentro casa o comunque a non allontanarsene senza la presenza di un famigliare. Può rendersi necessario assumere dei farmaci, solitamente antidepressivi e ansiolitici, al fine di arginare le crisi e consentire una qualità di vita decente.

LA PSICOANALISI CI HA AIUTATO A CAPIRE CHE…

La capacità di ognuno di noi di gestire l’ansia probabilmente è frutto di un apprendimento molto precoce avvenuto all’interno della relazione con le proprie figure di accudimento primario in età molto precoce.

La figura materna è come un ‘contenitore’ delle emozioni del proprio bambino; quando le cose funzionano è in grado di capire i suoi stati d’animo, di accoglierli e di rispondervi in maniera adeguata.

I bisogni del bambino possono essere fisici (fame, sete, sentirsi bagnato…) ma anche emotivi (inquietudini, bisogni di vicinanza); la mamma sa dare una risposta concreta e di senso, quando calmando il proprio bambino con il contatto fisico e il tono della voce, l’aiuta a tranquillizzarsi e a vivere poi con maggior serenità tutti gli stati di tensione interna che si manifestano. Quindi quella che all’inizio è una funzione mentale adulta fatta di comprensione, accoglimento e risposte sintoniche, nel tempo diventa una risorsa appresa dal bambino, perché gradualmente si fa più autonomo nel vivere i propri stati emotivi, lasciandoli fluire; senza che questi ‘tracimino’ o necessitino, per essere contenuti, della presenza di un altro.

I contributi della ricerca sugli stili di attaccamento precoci tra il bambino e la mamma hanno contribuito a chiarire questi passaggi, usando metodi sofisticati, fatti di riprese video su lunghi periodi e di osservazioni di ricercatori esperti.

Quindi la capacità di gestire l’angoscia senza lasciarsene travolgere sembra riconducibile ad una risposta materna insufficiente o inadeguata nel suo compito di accogliere lo stress con le relative manifestazioni somatiche e nel dargli una risposta e un senso. Questi stili di relazione si trascrivono nella memoria più antica (in particolare sembra in due formazioni cerebrali che si chiamano amigdala e ippocampo) e si possono riprodurre in maniera automatica, soprattutto in particolari momenti di vita (momenti di cambiamenti importanti, separazioni, lutti, passaggi d’età ecc,) quando ci si sente maggiormente vulnerabili.

Non si tratta di ricordi veri e propri, strutturati come racconti che sono tipici delle funzioni di memoria evolute (coinvolgono ad esempio anche la corteccia cerebrale, con il suo compito elaborativo e di collegamento) ma sono piuttosto tracce di sensazioni fisiche legate alla paura, che tendono a ripresentarsi fuori dal controllo cosciente. Probabilmente queste persone sono state bambini che si sono dovuti arrangiare da soli, non potendo contare su una presenza costante e coerente; questo ha contribuito ad alimentare uno stato di preoccupazione e di allerta perennemente presente.

LE CURE

Oggi ci sono diversi approcci di cura per gli attacchi di panico, in grado di incidere a diversi livelli di profondità della personalità e che possono essere complementari tra loro. Chi soffre di questo fastidioso disturbo non deve rassegnarsi e, come a volte accade, chiudersi in casa, per il terrore di perdere il controllo sul proprio malessere quando è fuori da mura sicure. Deve armarsi di pazienza e cercare il rimedio efficace per sé, tenendo presente che potrebbe non essere di immediata individuazione, ma richiedere un po’ di tentativi prima di trovare la cura che funziona.

Vediamo quali sono gli approcci utilizzati:

– l’approccio farmacologico
– l’approccio cognitivo-comportamentale
– l’approccio psicoanalitico

L’approccio farmacologico prevede la somministrazione di antidepressivi; l’obiettivo è incidere su uno stato depressivo che fa da sottofondo; i farmaci antiansia invece moderano le reazioni somatiche dovute ad una eccessiva attivazione del sistema neurovegetativo.

L’approccio cognitivo comportamentale aiuta i pazienti a riconoscere quali sono gli stimoli, le fantasie, le percezioni che provocano l’insorgere dell’ansia e insegna delle strategie di pensiero per controllarli.

L’approccio psicoanalitico lavora sugli aspetti profondi della psiche e va ad incidere sulle strutture della personalità, sull’identità, sulla crescita emotiva; lo scopo naturalmente è quello di risolvere la sofferenza del paziente sul piano della manifestazione sintomatica ma non si limita a questo. La persona affronta passo dopo passo le sequenze mentali che gli procurano sofferenza, condividendole con il terapeuta e divenendone sempre più consapevole.

Il paziente è in una posizione attiva, perché parla di sé e impara a riconoscere e a narrare le pieghe della storia di vita e a conoscersi meglio, aumentando gradualmente la sensazione di essere padrone della propria persona. In ultima analisi gli psicoterapeuti ad indirizzo psicoanalitico sono concordi sul fatto che alla base del sintomo ci sia una debole strutturazione della personalità e che la terapia abbia come obiettivo l’approfondimento della conoscenza personale, lo sviluppo mentale, che porta ad una migliore autonomia nelle scelte e nei giudizi e quindi ad un incremento del senso di sicurezza in sé stessi.

La dott.ssa Marcella Dittrich, psicologa-psicoterapeuta, svolge la sua attività professionale a Milano. Per ulteriori informazioni potete consultare il suo sito: www.marcelladittrich.it

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19 Responses to “Gli attacchi di panico”

  1. Donatella scrive:

    Bellissimo articolo, molto esaustivo e nello stesso tempo chiaro e comprensibile anche dai non addetti ai lavori. Mi è piaciuto molto.

    Da psichiatra che lavora nella struttura pubblica posso dire che le crisi di panico rientrano fra le richieste più frequenti di intervento urgente. E’ strano, vero? Non le crisi psicotiche, ma proprio le crisi di panico. La percezione di morire o di impazzire è talmente devastante che la persona che ne soffre diventa un habitué dei servizi di urgenza, prima di tutto i servizi di Pronto Soccorso e in seguito quelli di urgenza psichiatrica.
    Per il resto, non ho nulla da aggiungere o da discutere: condivido parola per parola ogni cosa detta dalla collega.

    • Marcella Dittrich scrive:

      Grazie per il tuo apprezzamento e condivisione!
      Sì, anche io credo che l’attacco di panico sia estremamente diffuso ed è segno dei tempi: all’epoca di Freud l’isteria imperava ora sembra quasi scomparsa per lasciare il posto a queste ‘sindromi da senso di fragilità';
      il contesto sociale è complesso, instabile, imprevedibile e noi ci sentiamo privi di riferimenti ‘interni’ solidi che ci consentano di affrontarlo e padroneggiarlo…

  2. cristina scrive:

    Grazie di cuore anche per la tua testimonianza, Dottoressa!

    Leggo sempre con piacere i tuoi commenti di vera professionista e medico di grande umanità.

    Il tema trattato è veramente importante; se ne parla troppo poco… eppure tante persone ne soffrono!

    Cari saluti,

    Cristina

    • Marcella Dittrich scrive:

      il tuo entusiasmo è ‘merce contagiosa’! Grazie a te per questo tuo modo di essere che sai trasmettere agli altri

      • cristina scrive:

        Grazie! Il mio entusiasmo mi ha salvata in tante situazioni difficili, dandomi la forza di ricominciare da capo con…sempre maggior entusiasmo.

        Inoltre rimango affascinata da persone speciali come voi ; persone che hanno sempre qualcosa di buono da trasmettere, anche nel loro campo professsionale. come te e Donatella ( la nostra psichiatra).

        Infatti in voi si avverte anche l’empatia, una propria vita interiore che sembra dirci: “anche noi siamo e sentiamo la vita e la sofferenza come voi: proprio per questo vi capiamo e cerchiamo di aiutarvi”.

        Purtroppo ho anche conosciuto psicologi e medici “distratti”, assenti: per cui a volte il malato era soltanto un “oggetto fastidioso”.

  3. Ritengo davvero prezioso ed esaustivo questo articolo anche perchè ho trovato i riscontri in un attacco che ho avuto personalmente durante il corso di un’operazione chirurgica ad anestesia parziale che ho mal sopportato e i cui postumi hanno prodotto una reazione talmente forte da non riuscire a controllare il mio corpo per una bella mezz’oretta.

    • Marcella Dittrich scrive:

      Durante e prima di un’operazione viviamo una situazione di fortissimo stress emotivo. E’ il nostro corpo che viene toccato quindi il senso stesso di incolumità fisica personale e per di piu’ lo mettiamo nelle mani di un altro… razionalmente ci sono mille buoni motivi per farlo ma emotivamente la cosa è sconvolgente; infatti nelle preanestesie c’è un forte cocktail di ansiolitici e inoltre il nostro corpo durante l’operazione (soprattutto se siamo svegli) consuma tantissimo! Può essere un totale capovolgimento di prospettiva per una persona abituata ad avere sempre ‘sotto controllo’ la situazione… e viversi impotenti, non reattivi può generare una paura che diventa panico.

  4. Bianca scrive:

    Ciao a voi, complimenti alla dottoressa Dittrich per il suo esaustivo e professionale articolo e grazie a Cristina per le belle parole via e-mail: troppo buona come sempre!

    Dunque, io sono una persona molto razionale e controllata però sono soggetta ad attacchi di panico e ansia non da poco, che controllo appunto con l’altro lato del mio carattere.
    Nonché a diverse paturnie e ad altre sindromi tipo che se da una parte sono sicura del fatto mio, dall’altra mi viene una terribile ansia da prestazione quando devo agire.
    Tendo ad aggirare il problema, a rimandare, cavillare eccetera.
    Evito accuratamente tutte le occasioni di pericolo e/o panico, per esempio MAI salirei su una giostra, nemmeno profumatamente pagata, sono molto prudente in macchina, controllo due (diciamo pure tre, anzi quattro) volte il gas prima di andare a dormire :-) lo squillo del cellulare a volte mi mette ansia e via elencando.

    Poi ho pure il vizio di fare tutto da sola e quindi non solo non si parla di ansiolitici, tantomeno psicofarmaci (solo la parola mi fa paura) ma nemmeno di sedute dallo psicologo, psicoterapeuta e affini, anche se qualche volta ci ho pensato.

    Insomma una fai-da-te della mente 😀 che controllo piuttosto bene anche se a volte questi meccanismi mi mettono in crisi.

    Grazie dell’ottimo intervento e un caro saluto a voi!

    • Marcella Dittrich scrive:

      Mi sembra che il tuo ‘fai da te’ tutto sommato funzioni egregiamente! Se con una serie di piccoli accorgimenti poco invalidanti riesci a far fronte a certi tuoi stati d’ansia…che ben venga, vuole dire che hai trovato una tua misura ed equilibrio. Il problema si pone quando l’ansia diventa eccessiva, si parla piu’ di vera e propria angoscia, fino a diventare invalidante… allora è il caso di occuparsene per forza. In generale io credo che conoscere e accettare la parte piu’ piccola e fragile di noi, finisca per essere un arricchimento, una risorsa in piu'; comunque meno faticoso di dover continuamente dimostrare soprattutto a sè stessi di ‘essere sempre all’altezza’ della situazione…

  5. Bianca scrive:

    Una bellissima disamina dottoressa, è proprio così.
    Anche in funzione del mio lato diciamo artistico e creativo questo particolare carattere si è dimostrato vincente, se posso usare questo termine.
    A volte può diventare invalidante un certo modo di fare (per esempio lunghi periodi di rflessione prima di agire e comportamenti simili): però poi arricchita da questo particolare modo di fare ne torno a capo e… insomma spero bene.
    Grazie a lei anche per avere risposto a tutte/i singolarmente e buon proseguimento!

  6. cristina scrive:

    Cara Marcella,

    grazie anche da parte mia per aver risposto a tutti; risposte su cui ognuno potrà riflettere per cercare di capire tante cose…

  7. Marni scrive:

    Leggo solo adesso i commenti ( arrivo sempre tardi pardon 😉 ma non l’articolo che avevo apprezzato a suo tempo e per il quale faccio i complimenti a Marcella. IO lavoro come counselor e nonostante non mi occupi di patologie mi capita sempre più di frequente di lavorare con persone che le hanno sperimentate ( le crisi di panico) o che le sperimentano ( a volte in team con uno psichiatra)…è vero che è diventato il disturbo dei nostri tempi…a volte ho come la sensazione che sia un modo per la persona per essere finalmente “vista”. di sicuro è un modo “efficace” per esprimere al sofferenza di una “parte bambina”non accudita schiacciata dalle mille competenze, controlli, ed esigenze dele nostre parti “adulte” ..
    un caro saluto a tutti :-)

  8. cristina scrive:

    Cara Marni,

    ho appena visto in televisione un’intervista allo psichiatra Paolo Crepet
    e ho pensato a te e alla tua rubrica sui sogni.

    Infatti ha detto che i sogni sono “un’ottima terapia per tante paure”. Ne ha sottolineato l’importanza e ha sottolineato anche il concetto di quanto “il sogno sia ricco di saggezza”.

    Ad una persona che gli chiedeva perchè non riuscisse a sognare la madre morta, ha risposto che ci vuole tempo; il sogno non si può comandare.

    Credo anch’io che ogni patologia del genere nasconda fra l’altro un desiderio di essere “visti”; un bisogno di attenzione. E tanta sofferenza.

    Ecco perchè è molto importante che coloro che soffrono di crisi di panico si rivolgano subito allo psicologo; per non correre il rischio estremo di finire, come ha sottolineato Donatella, in un ospedale psichiatrico.

  9. Aldo scrive:

    Bell’articolo,
    illustra in maniera chiara e comprensibile il problema degli attacchi di panico.
    Parlo da incompetente in materia ma certo, la nostra societa’ e la vita frenetica di tutti i giorni, non aiutano sicuramente chi ne soffre per cui ben venga una terapia nei casi in cui non e’ possibile fare altrimenti. In ogni caso penso che gli psicoterapeuti dovrebbero essere supportati dai sociologi al fine di trovare forme efficaci di sensibilizzazione verso le situazioni sociali che creano stress e che invece di dimuire sembra che aumentino (il traffico, le code sia in strada che sui mezzi pubbici, gli orari sempre piu’ pressanti, ecc…), o sbaglio?

    • Marcella Dittrich scrive:

      si certo, l’individuo curato in psicoterapia non è certo ‘staccato’ dal proprio contesto, anzi è portatore del disagio del gruppo allargato in cui vive.
      A me sembra di cogliere soprattutto due fattori: il senso di insicurezza sociale (lavoro, ambiente, istituzioni di riferimento ecc.) riguardo al futuro che accresce il senso di insicurezza personale; l’enorme difficoltà a sviluppare tra le persone una comunicazoine autentica, profonda questo causa un forte senso di isolamento da cui non si riesce facilmente ad uscire; e non sto parlando del numero di persone che uno frequenta ma soprattutto della incapacità di comunicare e di ascoltare oltre la superficie delle cose. Come raccontavo nell’articolo le basi della reciprocità nella relazione hanno origini antiche…la matrice è il primo rapporto significativo con la mamma…

  10. marion scrive:

    Cara dottoressa,

    per me era molto interessante il suo contributo qui sul cofanetto,perché sto appena vivendo una situazione di ansia e ritenendomi una persona forte e determinata non ho mai preso in considerazione una cura farmacologia.
    4.1.2008 – mio marito viene operato per cancro al pancreas e le vie biliare
    7.1.2008 – il medico di famiglia mi raccomanda anti ansiolitici”per quello che
    verrai”
    – io rifiuto
    per farla corta , il mio marito sopravvive da 2 anni , l’ho portato per cure di riabilitazione nei usa,in giappone e per l’imun-age al istitute pasteur da montagnier. oggi nessuno si spiega come mai sta così bene,non importa,importante che è vivo.

    arriviamo a metà febbraio 2010 ….. vado in ufficio e mi sveglio in ospedale …… ansia da stress con totale amnesia temporaneo…. mi mancavano 8 ore della mia vita che non torneranno mai più.
    per 3 mesi mi hanno prescritto : sertalina e prazena.
    oggi vivo meglio e onestamente sono già preoccupato quando devo smettere….

    RIFIUTARE LA CURA PRIMA E STATA LA COSA PIù STUPIDA DA FARE, NON TUTTI PSICOFARMACI SONO DROGHE E DEVONO FARCI PAURA!

    • probabilmente ha vissuto un forte shock quando le è stato comunicato che suo marito era gravemente ammalato e che era a rischio di vita; forse è stata una notizia profondamente destabilizzante per lei ma ha dovuto ‘mettere da parte’ l’angoscia per poter essere lucida e affrontare la situazione di emergenza che riguardava la salute del suo compagno . Potrebbe essere che quello shock non elaborato, denso di paura, dispiacere, senso di instabilità e chi lo sa cos’altro sia come un ‘cofanetto’ chiuso nella sua mente che quando si dischiude puo’ causare un black out….Questo potrebbe essere avvenuto quando in un certo periodo, il livello di stress personale anche per altri motivi di vita è diventato molto alto. La pressione emotiva diventa prorompente e travolge; è un’ipotesi, io non conosco lei ma ho conosciuto situazioni simili. I farmaci l’hanno aiutata fortunatamente e sarà un momento delicato quando non ne farà piu’ uso: l’importante è che si senta compresa e sostenuta dal professionista che l’ha in cura in modo da poter trovare se fosse il caso (non è scontato) altre strade per aiutarsi, come quella del supporto psicoterapeutico: come scrivevo nell’articolo potersi ‘consentire’ di vivere emozioni rimosse in presenza di una figura di sostegno è la strada giusta per lasciarsele alle spalle! In bocca al lupo.

  11. I am doing research for my university paper, thanks for your great points, now I am acting on a sudden impulse.

    – Lora

    • admin scrive:

      You are welcome, Lora. Hope you can use this article in any way for your research, and as the Italians say: ‘in bocca al lupo’.

      Cristina

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