La poesia d’agosto: “La mia Africa” (di Cheikh Tidiane Gaye)

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Contrariamente a chi spesso raccoglie parole e frasi in organismi grammaticali che non dànno segni di poesia, lo scrittore senegalese Cheikh Tidiane Gaye sa bene come instillare ai versi efficacia e sonorità; prova ne sia che –ignorando volutamente quegli slogan pubblicitari che, in tv, invitano a imprimere forza alla passione– ha preferito, per non essere un bruto e basta, infondere passione alla propria forza, alla propria energia di cantore: sì, quella con cui celebra la terra d’Africa, raffigurandola come madre generosa, le cui tradizioni sono da difendere strenuamente con la bellezza di poesie che, a nome della nostalgia, sembrano domandarsi: «Che cos’è più vicino? Un sogno od un ricordo? Che cosa è più lontano?» e in cui ogni reminiscenza è assoluta, ma anche assolata libertà di pregare, in estasi, per la patria degli avi.

Pietro Pancamo
CHI SONO


 

Africa

 

LA MIA AFRICA
-da Il canto del Djali (Edizioni dell’Arco, Milano, 2007)-

Mi sdraierò sul tuo petto
e nelle tue braccia fresche abbracciami,
mi darai il tuo pane e il tuo riso
basterà a me solamente la tua bellezza nera
quando a mezzogiorno
la luce brillante della tua pelle
coprirà la mia ansia
offrendomi l’ombra, dolcezza del tuo sorriso
canto fresco;
luna dei miei sogni
cantami e coccola la mia anima.
Impediscimi tutto
il tuo vento del Sahara
la tua spiaggia morbida come fragola
impediscimi tutto
ma non i tamburi sulla chiara luna
quando ascoltando l’uomo dalla barba bianca,
illuminando i sorrisi spenti
nella caduta delle lingue deboli,
sarò la voce imprendibile
la bocca sonora di una terra
dove la speranza cade
come grandine.
Mi sdraierò sotto i tuoi piedi
non mi basterà il tuo sguardo;
alzami con le tue lunghe fresche braccia
ospitami nella tua tana, nido umido;
all’alba sorrideremo al mondo
perché questa terra è sempre in piedi.

Cheikh Tidiane Gaye

 
 
 
 

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