In cerca di speranza (l’amore a doppio taglio del poeta Riccardo Giuseppe Mereu)

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La luce della speranza

 

Riccardo Giuseppe Mereu –laureatosi a Cagliari in giurisprudenza e specializzatosi a Pavia in “Professioni e prodotti dell’editoria”– partecipa, adesso, a reading e rassegne artistiche fra cui i Festival “Cortili in-versi” di Milano ed “Europa in versi” di Como. Senza contare che, su iniziativa dell’operatrice culturale Elisa Longo, ha pubblicato, con I Quaderni del Bardo Edizioni, la silloge elettronica di liriche L’acqua è seminale (uscita a dicembre del 2018).


 

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Non si deve infine dimenticare che, dal 2019, è vicepresidente dell’Associazione milanese “Casa della poesia al Trotter” e che, in quanto assiduo ideatore di progetti performativi, ama dire di sé: «Scrivo per svelare il silenzio: è lì che trovo la mia voce; e in quello spazio di pelle e sudore faccio parole».
Ed in effetti nei suoi componimenti, il silenzio si affolla di argute allitterazioni, sottili calembour, ironici tautogrammi e guizzanti rime al mezzo che, tal quali a vispi riflessi della mente, s’intrecciano fra di loro a generare un vasto agglomerato di pensieri, espressamente orchestrati per cogliere e mostrare quei mondi sterminati, nascosti negli anfratti del quotidiano –che a volte è davvero spietato, ahimè, e dove a dispensare (falsi) momenti di tranquillità è quella nociva e brutta copia del sollievo, nota col nome sinistro di noia. Per rimediare a una situazione del genere (e degenere), l’unica è un amore a doppio taglio che se, da un lato, si rivela realtà distante, dall’altro è proficua leggenda assai vicina, da tenere a portata di dolore in modo che, all’occorrenza, possa intervenire subito, come una favola ossessiva eppure delicata, a spandere sorrisi curativi ed anestetici sugli effetti abrasivi della vita (comprese quelle ferite ostinate, che gli esseri umani non mancano mai di procurarsi e “scagliarsi” addosso, reciprocamente, con maligna precisione).
In ultima analisi, però, l’amore è anche un’illusione costante che, sebbene gradita (e molto), condanna ad una solitudine reiterata, in cui l’autore si aggira in cerca di speranza; spesso la trova, bisogna ammettere, ma è in molti casi succuba d’una peculiare amarezza a tinte fiabesche che, piegando il capo dinanzi alle delusioni “recidive” dell’esistenza, s’ibrida con la nausea di stare al mondo. Risultato inevitabile: quest’ultima si diluisce in una sorta di sgomento meditabondo, sempre impegnato a riflettere su di sé per meglio comprendersi e che, così facendo, approda finalmente ad un attimo di pace o (è un paradosso, magari? No, decisamente no!) almeno… d’oblio.

Pietro Pancamo
CHI SONO

 

QUANDO PARTO
-Da L’acqua è seminale (I Quaderni del Bardo Edizioni, Sannicola, 2018)-

Quando parto non so più tornare.
Quando torno non so più partire.

E mi chiedo dove sia, ora,
quel bambino con la voglia di giocare,
con il sogno del segreto dell’amore,
con tutti i nomi ancora da chiamare,
con tutti i giorni ancora da scoprire,
con tutto ancora da sprecare.

A cosa sono serviti
i giorni senza scopo,
i giorni bruciati dalla noia,
dal dolore, dalla fatica di non capire?

Vorrei farne un grande mucchio
e guardarli tutti insieme:
mi sfugge la chiarezza,
se non so guardare il sole.

Quando parto non so più tornare.
Quando torno non so più partire.

Il senso controvento
di un andare contropiede
m’imprigiona al tempo
di decidere il presente
come un futuro decisivo e uguale
a ogni mio pensiero dissoluto.
Ma dimentico i dettagli decisivi,
quelli cruciali assolutamente,
nascosti nelle pieghe del pensiero che non vede
al di là dei confini innaturali
dell’abitare lontano dal mare.

Penso, ripenso, dimentico il cielo,
recito un ricordo come a scuola…
torno a coltivare le macerie.

Quando parto non so più tornare.
Quando torno non so più partire.

Ho contato tutte le stelle
mi aspettavano schierate
come un plotone d’esecuzione.
Ho guardato in faccia la decisione:
un tratto rosso e sono evaporato
come minestrina bollente
nella stagione sbagliata.
Ho concepito giornate aride
mentendo pure al sole.

Quando parto non so più tornare.
Quando torno non so più partire.

E la malinconia mi assale
in qualunque direzione.

Riccardo Giuseppe Mereu

 

LETTERA D’AMORE

Ogni volta che cerco non ti trovo,
quando meno me lo aspetto, e non penso
al tuo sorriso scanzonato e aperto,
sento la tua voce suonare all’alba
di un’improbabile sorpresa, quella
che mi fai, oramai, semplicemente
quando dal nulla appari. E non lo sai,
e non potresti, perché non mi pensi.
Nonostante ciò, non posso non credere
al mio cuore che ignaro esulta e crede,
come quando mi hai abbracciato più volte
quella sera, e c’è stato più di un bacio
sulla guancia, solo per un “pensiero”.
Non voglio immaginare oltre, non posso
sentire quel dolore che non voglio.
Voglio soltanto sedimentare, ora,
questa gioia, e farne la mia salvezza
per quando resterà solo la polvere.
Amore: sei la musa del mio cuore.

Riccardo Giuseppe Mereu

 
 
 
 

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