Viaggio in Etiopia ai monasteri del lago Tana e alle cascate del Nilo Azzurro

Nel giugno 1991, l’Etiopia trovò finalmente pace dopo la fuga, nel maggio 1991, del dittatore Mengistu e la vittoria del Fronte Democratico Rivoluzionario Popolare.
Nel settembre dello stesso anno ci aggregammo ad un viaggio turistico, (uno dei primi dopo la fine della guerra) assieme ad altri italiani che lavoravano, in Etiopia, per istituzioni del nostro paese
Le mete furono le cascate del Nilo Azzurro, le chiese e i monasteri sugli isolotti del lago Tana e la città di Gondar.

Gondar, castello dell’imperatore Fasilidas

In Etiopia lavoravo, per una ONG di Roma, presso il Dipartimento di Salute Pubblica ad Assela, piccola città a più di 2.000 m di altitudine nella regione di Oromia., sita 170 chilometri a sud dalla capitale Addis Ababa.
I segni della disfatta dell’esercito di Mengistu, considerato uno dei meglio armati dell’Africa, erano ancora visibili: avvicinandosi verso il lago Tana si incontravano file interminabili di mezzi militari ed armamento abbandonati perché colpiti o, molto spesso, perché immobilizzati da guasti.
La prima tappa fu Gondar, l’antica capitale, fondata nel 1636 dall’imperatore Fasiladas, che fiorì per poco più di un secolo, divenendo il centro commerciale e culturale dell’impero. I castelli e le chiese che si trovano quasi tutti all’interno di una cinta muraria (il Recinto Imperiale o Fasil Ghebbi) ne sono testimonianza
Il sito, restaurato in anni recenti, è Patrimonio dell’Umanità.
Osservando i palazzi, i castelli e le chiese si può immaginare di essere in un antico villaggio medievale: infatti, Gondar è chiamata, da qualcuno, la “Camelot d’Africa”.

La tappa successiva fu la visita ad alcuni monasteri costruiti su isolotti del lago Tana.
Il lago è immerso in uno scenario rigoglioso. Lungo 84 chilometri e largo 64, ha una profondità media di solo 9 metri, ma si ritiene che 15.000 anni fa esso fosse vasto il doppio.
Vi sono una ventina di monasteri, costruiti nel XVI-XVII secolo sugli isolotti, spesso su rovine di templi precristiani.
Ci andammo su di un battello, che partiva da Bahir Dar, sulla riva sud del lago. In alcuni monasteri, erano ammessi solo uomini, per cui le donne, in un paio di occasioni, dovettero aspettare sul battello.
I monaci furono ospitali ed è stato molto interessante ascoltare la storia dei dipinti. In un’occasione ci fu offerta Injera con polvere di Berberè.
L’Injera è una specie di crȇpe, rotonda, spugnosa, preparata con farina di teff, un cereale che cresce in Etiopia e che rappresenta l’alimentazione principale. Essa viene stesa sopra piatti o vassoi e su di essa vengono appoggiati altri alimenti (carni, verdure). Injera tagliata a strisce e spezzata in piccoli pezzi, serve per afferrare il cibo con le mani per portarlo alla bocca.
Il Berberè è una miscela di spezie, tra cui il peperoncino, molto piccante.
Le chiese dei monasteri cristiano ortodossi sono ricche di affreschi che rappresentano motivi religiosi: Madonna col bambino, santi, episodi della Bibbia, episodi storici. Gli affreschi sono di colori sgargianti e ricchi di particolari.
Per citarne solo due: la chiesa di Ura Kidane Mehret si trova sulla penisola di Zege e custodisce sfarzosi mantelli, paramenti e corone di alcuni imperatori mentre il monastero di Debre Maryam, conserva pregevoli bibbie con illustrazioni eseguite a mano.

Ura Kidane Mehret

Circa trenta chilometri a sud-est di Bahir Dar rombavano, tra nuvole di vapore acqueo, le cascate del Nilo Azzurro (Abay in lingua amarica).
Ho scritto rombavano perché, in anni più recenti, gran parte delle acque è stata deviata in un canale per alimentare una centrale idroelettrica rendendo le cascate niente più di un ruscello, tranne che durante la stagione delle piogge.

ponte portoghese

Per arrivare alle cascate, chiamate localmente Tis Isat (acqua fumante), dal villaggio omonimo abbiamo seguito un sentiero, che passa sopra il primo ponte in pietra costruito in Etiopia, dai portoghesi, nel 1626 e che porta di fronte alle cascate dopo una camminata di una quarantina di minuti.
Certamente sono tra le più belle cascate al mondo anche se larghe “solo” 400 metri e alte poco più di quaranta, ma il loro fascino principale, per me, non risiedeva tanto nella componente paesaggistica, quanto in quella più storica e “romantica” della ricerca delle sorgenti del Nilo.

Ritengo necessario un breve excursus storico.
L’origine del Nilo ha affascinato l’umanità fin dai tempi antichi: Alessandro Magno, Giulio Cesare, Nerone (che inviò dei militari in esplorazione), solo per citarne alcuni.
Le sorgenti del Nilo Azzurro (Gish Abay), conosciute dagli abitanti locali ben prima dell’arrivo dell’uomo bianco, hanno avuto e ancora hanno, un significato religioso-rituale e la sacralità del luogo è ricondotta al Vecchio e Nuovo Testamento. Nella Genesi è scritto che dall’Eden usciva un fiume che si separava in quattro sorgenti di cui una era chiamata Gihon e questo era il nome che era dato al Nilo Azzurro prima di Abay.
Le sorgenti sono anche chiamate “Dio di Pace”.
Il Nilo Azzurro fornisce il 70% delle acque che, congiungendosi col Nilo Bianco a Khartum, formano il fiume Nilo; le sue acque sono ricche dei sedimenti che ne fertilizzano le rive. Tecnicamente, però, solo l’8% dell’acqua che raggiunge Khartum, proviene dal lago Tana e di questo solo una minima frazione da Gish Abay che, comunque, attira ancora numerosi pellegrini vi giungono per raccogliere l’acqua sacra.
È ormai riconosciuto che il primo europeo a descrivere le sorgenti fu il gesuita portoghese Pedro Paez che le visitò attorno all’anno 1618. Dopo di lui un altro missionario vi si recò: Geronimo Lobo nel 1629.
Ma il più famoso e anche controverso, esploratore fu James Bruce che vi arrivò il quattro novembre 1770 e così descrisse l’incontro con la sorgente: «… dopo questo raggiunsi l’isola di verde tappeto erboso a forma di altare, dall’aspetto di un’opera d’arte e restai in estasi sopra la polla principale che vi origina nel mezzo».
Bruce era nobile d’origine, vanitoso, intollerante, esagerato per natura. La sua descrizione del lungo viaggio e la scoperta che egli fece furono bollate come vanterie e racconti fantasiosi. Sdegnato di ritirò nei suoi possedimenti, ma in seguito decise, con l’aiuto di un amanuense, di mettere nero su bianco le sue memorie di viaggio. Uscirono in cinque volumi nel 1790 e, seppur avessero anche in seguito un discreto successo popolare, ancora si attirarono gli strali dei denigratori.
Dopo aver rischiato la vita numerose volte morì a 64 anni cadendo dalle scale di casa.
Probabilmente fu il suo carattere o il fatto che la società occidentale dell’epoca non era pronta a racconti di usi e costumi così inverosimili, che lo fecero cadere in disgrazia; infatti, l’epopea delle esplorazioni e viaggi africani iniziò solo nel secolo successivo.

Tis Isat

Ed eccomi al cospetto dell’acqua che fuma (pochi anni dopo avrò modo di ammirare “il fumo che suona”, ovvero le cascate Vittoria) e l’impressione è di imponenza.
Il vapore acqueo ci raggiunge e il profumo della lussureggiante vegetazione umida stimola il nostro olfatto. Irene, mia figlia, era incantata: a otto anni non capita tutti i giorni di visitare castelli e monasteri in Africa e ora, imponenti cascate.

Auguro ai collaboratori e ai lettori del Cofanetto Magico un buon Natale e felice Anno Nuovo
Fotografie dell’autore.

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