«EVVAI NO?» OVVERO LA (NON) CULTURA DELL’ANDARE IN BICI IN ITALIA

La mia prima bicicletta

Che in Italia ci sia una scarsa cultura dell’andare in bicicletta è un dato di fatto: non siamo come gli olandesi, tanto per intenderci.
Personalmente ne ho avuto esperienza diretta tempo fa quando, in sella alla mia bici Legnano del 1964, ero fermo al semaforo rosso tra il marciapiede ed una macchina anch’essa in attesa del verde.
Ho sentito alle mie spalle un «dai, vai!», lì per lì non ho pensato fosse diretto a me, ma quando un ciclista, non più giovane, è passato col rosso (dall’altro lato del veicolo) pronunciando un «evvai, no?» come a dire e «che-diamine-aspetti-tanto passano-tutti- col-rosso» mi sono sentito un neanderthaliano, indietro nel tempo per il mio rispettare i semafori, avere una bicicletta con le luci “di serie” (non quei led intermittenti tipo UFO) ed indossare un bel caschetto.

Coppi era il mio idolo

Sì perché la bicicletta, da noi, è considerata, come un ennesimo mezzo per infrangere le regole (in questo caso il codice stradale).
Siamo molto fantasiosi nel trovare modi di infrangere/evadere regole e leggi e la bici non è esente. Non credo di esagerare nell’affermare che è la norma vedere ciclisti adulti pedalare sui marciapiedi schivando le vecchiette con la borsa della spesa, o passare col rosso, bruciare gli stop e andarsene tranquillamente in senso vietato.
Visto che una miriade di automobilisti lo fanno guidando, anche i ciclisti usano il cellulare pedalando.
Ho assistito ad una associazione “al limite”: ciclista che passa col rosso, senza tenere il manubrio perché le mani erano impegnate a inviare messaggini con uno smartphone. Qualcuno ha visto di peggio?
Mi sono chiesto anche perché chi pedala di notte (ovviamente senza luci, tanto nessuno controlla) si veste di scuro. Mah!
Poi ci sono quelli che non usano le piste ciclabili forse perché pensano siano riservate ai principianti, a chi va piano, ecc.
Una cosa che mi sono chiesto è perché spesso gli emuli dei partecipanti al Giro d’Italia, pedalino affiancati per 3 su strade provinciali strette. Un collega, ferrato in psicologia ha dato questa interpretazione: essi stanno tutta la settimana in auto in coda al semaforo o a cercare un parcheggio impossibile per cui, la domenica, si divertono ad intralciare gli automobilisti.
Mi ritengo un ciclista pragmatico: non pretendo che si spendano quattrini per costruire 200m di pista ciclabile che finisce in una strada con più buchi di un maglione tarmato.
Come ho detto mi sento molto preistorico, ma non mi vergogno di pedalare con la mia vetusta bicicletta passando accanto a velocipedi nuovi fiammanti da diverse centinaia o migliaia di Euro, corredati da borse, portapacchi, seggiolini per bambini ed ammennicoli vari.
È per lo meno bizzarro che le forze dell’ordine nulla facciano per scoraggiare i comportamenti “illeciti”: mi è capitato di vedere un ciclista pedalare sul marciapiede davanti ad un vigile il quale neppure ha alzato un sopracciglio.
Per carità, non suonate il clacson ai corsaioli, né fate presente che sul marciapiede non si va in bici perché riceverete improperi irripetibili.
Perché, in Italia, nessuno ha più torto o, per lo meno, si proietta sugli altri la propria manchevolezza o la si sminuisce.
Facciamo un paio di esempi automobilistici (dove le regole di buon senso e di educazione sono ormai estinte da tempo come i dinosauri).
Trovi un’auto sul passo carraio il cui autista è andato al bar a prendere il caffè? Non preoccuparti, quando ritorna e si degna di spostare l’auto il minimo che ti dice è «per un minuto che aspetti, cosa vuoi che sia». In realtà i minuti sono di più, ma quel che conta è il principio ribaltato: parcheggio dove mi pare tanto lo fanno tutti e impunemente. Un autista frustrato non ti dà la precedenza: ha ragione lui, è passato per primo e poi tu i freni li hai per cosa?
Tornando alla bicicletta, l’impressione, non solo mia devo ammettere, è che, in nome di una modica attività fisica (quanto poi sana possa essere a Milano in inverno pochi lo credono), di decongestione del traffico e dei parcheggi, ai pedalatori sia concesso qualsiasi comportamento.
Non mi sento sminuito o frustrato quando vedo ciclisti passare col rosso: sono piuttosto preoccupato per la loro incolumità.
I ciclisti sono vulnerabili, è un dato di fatto, ma i comportamenti insani aumentano la loro fragilità.
Perché è assodato che la ripetitività dei comportamenti porta, inevitabilmente, ad una diminuzione dell’attenzione e, quindi, si arrivi al punto di dare solo una sbirciata a destra e sinistra passando col rosso perché, ad esempio, il messaggino dell’amante sullo smartphone merita tutta l’attenzione possibile.
Se passeranno le nuove norme del codice stradale in cui sarà facoltà dei comuni consentire la circolazione in senso vietato alle biciclette in alcune strade, allora i rischi saranno maggiori, proprio per la mancanza di cultura “ciclistica” in Italia.
Divertente, secondo me, la proposta di linee d’arresto speciali per le bici ai semafori: qualcuno pensa veramente che i ciclisti si arrestino col rosso solo perché ci sono delle righe per loro?
Comunque, nonostante macchie di ruggine sui cerchioni, la mia Legnano non dimostra i suoi 55 anni e fa il paio con l’altra mia veterana: Moto Guzzi T3 che di anni ne ha 37 ed ancora scorrazza me e mia moglie (per non parlare dell’auto che non è certo una giovincella coi suoi 22 anni passati quasi tutti in garage mentre stavo in Africa).
Questo a dimostrare che per me i veicoli a due o quattro ruote sono solo mezzi di trasporto, non li considero “status symbol” né vi proietto rivalse, frustrazioni come, ormai, frequente da noi.

Testo e foto di Mauro Almaviva

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