Rampina, una favola dei nostri giorni (8° episodio)

Immagine realizzata da Marica Caramia, ispirata dalla
favola di Rampina di Valentino Di Persio

La favola di Rampina è iniziata quasi per caso, si è scritta da sola, senza essere stata cogitata preventivamente. Rampina nacque in una notte tempestosa di maggio di due anni fa, alle falde del Gran Sasso. Una coltre di grandine le impedisce di raggiungere il seno materno. Quando al levar del sole riesce finalmente a trovare la forza di alzarsi, mamma cavalla non c’era più, l’aveva abbandonata nel prato in balia dei lupi. Ma il destino le aveva riservato qualcosa di diverso. Sfugge alla morte per amore della vita, della quale ha imparato a coglierne gli aspetti migliori, grazie ad una serie di esperienze maturate a contatto con l’uomo, dal quale riesce a staccarsi solo grazie al sublime sentimento, detto amore. Buona lettura!

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“Non è un addio”

Irruente, il giovane stallone, ricomparve da dietro la collina al trotto. Il suo manto sfolgorante si rifletteva sulla coltre gialla delle ginestre in fiore. Le pastorali bianche degli arti posteriori, saettavano intermittenti sul ciglio della strada. Vedendomi, si bloccò di scatto. Mi osservava a distanza, sbuffava, esalava nuvolette di vapore dalle narici. Rampina mi stava appiccicata dietro. La sentivo ansimare. Chissà, forse aveva paura o, forse perché troppo innamorata. Il morello, impennò due volte, nitrendo nervoso. Si girò e scomparve di nuovo dietro alla collina. Mi voltai verso Rampina. La puledra grondava di sudore. Era in allerta, con la testa alzata e le orecchie tese in avanti, attenta a non lasciarsi sfuggire nessun palpito di lui. Sentii la terra tremare sotto i piedi. Faccio appena in tempo a spostarmi oltre il ciglio della strada che lo stallone passa veloce come una saetta scura. Rampina lo insegue. Scomparvero entrambi dietro alla casa. Corsi anch’io confuso, non riuscivo a rendermi conto di cosa stesse realmente succedendo. Non ero nemmeno sicuro di essere sveglio o se stessi ancora sognando.
Rampina stava davanti alla stalla.

Andava avanti e indietro, sbuffava col naso, era nervosa, non aveva avuto la forza di seguirlo oltre. –Vai, vai!– la esortai –Potrai tornare quando vuoi, ma ora vai, non farlo più aspettare, dopo potrebbe essere tardi, vai e vivi la tua vita e la tua giovinezza, vivila intensamente come nessuno ha mai fatto prima.– Il puledro venne verso di noi al galoppo, ci passò davanti come un fulmine. Lo vidi scomparire di nuovo dopo la curva verso la fonte, per vederlo riapparire quasi subito, veloce come il vento. Rampina al suo passaggio gli corse dietro d’istinto, ma si arrestò dopo un centinaio di metri. Ritornò verso di me, non ne voleva sapere di andarsene. Intanto il puledro nero era svanito dietro alle ginestre prima del fosso. Non la accarezzai come avevo fatto prima. Cambiai atteggiamento. –Devi andare ora, hai capito?– le dissi duramente. Rampina abbassò le orecchie, con la sua bocca cercava la mia mano. –No, niente carezze e niente più zucchero. Vattene!– Lei abbassò la testa. –Vattene non ti voglio più bene, hai capito?– La cavallina mi guardava incredula. Scosse la testa e sbuffò in segno di protesta. –Vai!– Le gridai e le appioppai una manata sulla groppa con tutta la forza che avevo. Impennò con le zampe anteriori fin quasi a toccare il cielo. Nitrì forte e si lanciò nella sua folle corsa verso il destino, verso l’amore.

Con gli occhi appannati dalle lacrime, li vidi risalire il crinale del colle della fonte del “carammello”. Camminavano affiancati, lui leggermente più avanti di lei, entrambi a testa alta con le criniere al vento. Poesia in movimento, pensai. Dopo un quarto d’ora col binocolo li osservai valicare il Colle Padoni, poi scomparvero, fagocitati dalla lontananza.

La inseguii con la mente, continuai a parlarle col pensiero. Sapevo che mi avrebbe ascoltato col suo istinto, con la sua intelligenza, con la sua innata telepatia: “Vai, segui il tuo istinto, insegui la tua libertà, liberati dai condizionamenti umani cui tu sembri asservita. Esci dalla mediocrità che attanaglia certa gente, sempre pronta a criticare, a giudicare, a condannare, lapidare con giudizi affrettati e fuori luogo. No, tu non farai mai parte di quella specie. No, tu non dovrai passare la tua esistenza a veder trascorrere i giorni, sempre uguali, senza mai un sussulto emozionale. Giorni dopo giorni intrisi di rabbia e d’invidia contro tutto e tutti. Un continuo lamento, perenne scontentezza che trascina in basso oltre se stessi anche chi li circonda. Tu vai, tu sei fatta di altra essenza, non appartieni alla mia specie, capace si di grandi gesti, ma anche d’immani disastri. Tu vai, vai ora, la condizione umana non t’appartiene.”

Rimasi sveglio fino ai primi chiarori del nuovo giorno. Non riuscivo a dormire,sopraffatto dai pensieri e dal rimorso di essere stato troppo duro con lei. Sentivo la tristezza del distacco ed ero preoccupato più che altro del fatto che lassù facesse freddo. Ma ero sicuro che lei, la mia Rampina, era felice e sicura con il suo impetuoso compagno.

Fine… per ora.

Valentino Di Persio
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