L’eutanasia? Una sconfitta. Intervista al medico olandese Jaap Schuurmans

Jaap Schuurmans, 56 anni, è un illustre medico olandese consulente nel campo delle cure palliative. Dal 1997 al 2012 è stato membro di Amnesty International. Ha studiato in Inghilterra e nei Paesi Bassi, dove ha conseguito la laurea all’Università statale di Groningen. Ha pubblicato parecchi scritti sul tema dell’eutanasia. Il suo studio si trova a Groesbeek, un paese vicino a Nijmegen, con 3000 pazienti. Il salotto di casa sua è dominato da una grande e bella scultura che rappresenta Caronte, l’ “orrendo nocchiero” mitologico (come viene descritto da Virgilio nell’Eneide) che trasportava le anime dei morti da una riva all’altra del fiume Acheronte: “con gli occhi di bragia” (Dante). Nella foto qui sopra.

Olanda. Una bella immagine simbolica creata dal Dottor Schuurmans su una sua scultura, che ben delinea il tema dell’intervista.

Con lo sguardo rivolto a questa immagine simbolica, cominciamo l’intervista attuata la scorsa estate nel suo studio proprio su un argomento che fa tanto discutere, in un confronto iniziato su punti di vista diversi. Ma alla fine, dopo 3 ore di dialogo, una sorpresa..che non anticipo: a conferma che spesso attraverso il dissenso nasce il consenso. O, almeno, si aprono nuovo spunti di riflessione.

Dottor Schuurmans, lei è un collega e amico dello psichiatra Dottor Boudewijn Chabot, le cui recenti esternazioni sulla legge per l’eutanasia ed il suicidio assistito, in prima istanza appoggiata, ora criticata, hanno provocato molte polemiche. Più di 20 anni fa, ancor prima dell’entrata in vigore della suddetta legge, fu proprio lui ad aiutare una donna di 50 anni, sana, a suicidarsi: subito si autodenunciò. Può spiegarci Lei che cosa è successo?
Per quanto riguarda il passato vorrei chiarire che il dottor Boudewijn Chabot è sempre stato a favore dell’autonomia del paziente nel decidere sulla fine della propria vita, di cui deve esserne il regista: senza chiedere aiuto ad altri. Infatti lui stesso ha dichiarato che, se potesse tornare indietro, non rifarebbe più quello per cui fu “giudicato colpevole, ma non condannabile”. Il problema è che sempre più questa “autonomia” è stata lasciata in mano ai medici, il cui scopo, invece, è quello di curare il malato. Tanto che con il passare degli anni noi medici ci siamo sentiti sotto pressione, abbandonati a noi stessi nel momento in cui dovevano fare scelte tanto importanti come quella di porre fine alla vita di un paziente che chiedeva l’eutanasia. Lui ha criticato il fatto che questa legge ha cambiato il suo percorso iniziale, non tenendo più conto della reale valutazione della terminologia “dolore insopportabile”, che varia da persona a persona e che si deve cercare di alleviare con le cure palliative, senza ricorrere subito all’eutanasia, come sempre più sta accadendo. Infatti i casi di eutanasia sono aumentati notevolmente nel corso degli anni. Ma soprattutto, non si può estendere ai malati di Alzheimer, ai dementi, a persone affette da disturbi psichiatrici, la cui soglia del dolore e di sofferenza duratura ed insostenibile è difficile da stabilire. Senza contare che ci sono vari gradi di demenza; non è tutto bianco o nero.

Olanda 2017. Il dottor Schuurmans durante l’intervista, in un momento di pausa, necessaria dopo due ore; soprattutto dopo due ore di riflessione su un tema tanto importante e gravoso.

Per questo avete fatto un annuncio sui giornali e indetto una petizione perchè i medici si rifiutino di applicare l’eutanasia a dementi e depressi?
Sì, ci opponiamo a questa pratica che colpisce un gruppo di persone indifese ed inermi. Inoltre molti malati, affetti anche da altre patologie, se la loro richiesta di eutanasia non viene accolta, si rivolgono alla Levenseindkliniek, la Clinica per la fine della vita (attiva dal 2012). Il problema è che là non informano e non insistono abbastanza sulle cure alternative, su colloqui con uno psichiatra; colloqui che, quando vengono fatti, durano comunque troppo poco. Ci vogliono molte sedute per capire a fondo i problemi di un paziente. In questo modo per il medico l’eutanasia si trasforma in una routine.

Quando un malato si rivolge a lei, allora, che cosa avviene?
Mi baso sul pensiero di Cicely Saunders (1918-2005), infermiera britannica, medico e scrittrice, che ha dato vita alla diffusione degli Hospice (fondandone uno a Londra, il St Christopher), sottolineando l’importanza delle cure palliative nella medicina moderna, insieme alla psichiatra Elizabeth Kobler-Ross (fondatrice anche della psicotanatologia). In una sua pubblicazione scrisse: “si deve capire il dolore nella sua totalità e intervenire a livello globale: fisico, mentale, emozionale, sociale. E’ un lungo viaggio, da fare insieme al paziente, in una camera dove il mobile più importante non deve essere il letto ma la sedia”. Smettiamola con la frase: quando il paziente grida per il dolore… Non si deve assolutamente arrivare ad una sofferenza simile; ci sono tante medicine per alleviare il dolore! Tanti mezzi per aiutare il paziente a morire senza quei disturbi che lo angosciano tanto, come il timore di soffocare: per esempio farmaci che rallentano la salivazione, farmaci (molto conosciuti e comuni) da inserire sottopelle contro il male , un cerotto da mettere dietro le orecchie. Sa qual è il problema vero? Che da noi si è cominciato troppo tardi (solo alla fine degli anno 90) a parlare di cure palliative, alla possibilità di creare degli Hospice dove i malati possono morire di morte naturale nel miglior modo possibile, in pace, “tranquillamente”. Mentre in Inghilterra hanno iniziato negli anni 60.

Quindi dalle sue parole mi pare di capire che anche lei stia facendo marcia indietro…Secondo quanto mi ha appena detto, allora, la legge sull’eutanasia non avrebbe ragione di esserci.
Non è una questione di retromarcia, di essere pro o contro l’eutanasia: bensì di sfumature. Soprattutto di comunicazione con il paziente. Non dimentichiamo che il 95% delle morti in Olanda avviene naturalmente, senza eutanasia! Una ragione in più, pensando all’altro 5%, per ottimalizzare l’assistenza al malato nel suo sia pur difficile percorso verso la fase finale, per evitare interventi estremi. Ma da subito! Non dopo, quando non la sopporta più! Si deve intervenire immediatamente. Nel 2030 il numero dei sessantacinquenni e oltre salirà , secondo le aspettative, a 4 milioni: circa un quarto di tutta la nostra popolazione. Come disse il filosofo René Gude, “noi viviamo non solo più a lungo, ma muoriamo anche più a lungo…”. Lo spettro delle cure palliative va ampliato, amplificato ed addirittura anticipato nel caso di anziani con complessi disturbi legati all’invecchiamento. Non bisogna pensare alle cure palliative soltanto nella fase terminale! In questo modo si allenta lo stress, non solo per il paziente ma anche per tutta la sua famiglia: e per il medico, che, ripeto, non va lasciato in solitudine, come avviene adesso, di fronte a decisioni tanto importanti sulla vita e la morte di un essere umano.

Groesbeek (Olanda). Giugno 2017. Uno dei libri pubblicati dal dottor Jaap Schuurmans, insieme a Bert Ummelen, scrittore molto attento ai problemi inerenti l’eutanasia, in fase di riaggiornamento e ristampa.

Lei ha pubblicato un libro insieme al giornalista psicologo Bert Ummelen, in cui fra l’altro cita la differenza fra sedazione palliativa ed eutanasia: ce la può riassumere sinteticamente? Vorrei dirle, però, che sono rimasta scioccata, e trovo terribile il capitolo sul suicidio assistito.
So a che cosa si riferisce e capisco benissimo la sua reazione, il suo malessere, “orrore” e disapprovazione assoluta. Penso quindi di levare, nella prossima edizione, la parte a cui lei fa riferimento. Per rispondere invece alla prima domanda, riassumo, circa la sedazione palliativa:
1) con la sedazione palliativa si leva il dolore attraverso una lenta diminuzione della capacità cognitiva. Con l’eutanasia si leva il dolore ponendo fine alla vita.
2) La sedazione palliativa non accorcia la vita, l’eutanasia ovviamente sì.
3) La sedazione palliativa nella fase inziale è reversibile ( si può anche iniziare con piccole dosi, poi sospenderle, riprenderle più avanti); l’eutanasia no. E’irreversibile.

Nei suoi scritti parla dell’importanza di morire a casa propria, nel proprio letto, circondati dalla famiglia. A riguardo, come è la situazione in Olanda?
Nonostante i tre quarti degli olandesi vorrebbe morire nella propria casa, compreso i malati terminali, nel 2006, per esempio, solo il 32% ha potuto farlo. Il 27% dei malati di cancro o di altre patologie croniche è deceduto in ospedale, il 25% in case di cura, il 15% in altro luogo. Tornando all’eutanasia, chiedo spesso la consulenza di una dottoressa, Marjan Rijnbout, affidandole il “mio paziente”, perchè cerchi insieme a lui il senso della vita e la motivazione per cui l’ha perso. Oppure mi rivolgo al Dottor Uygen, che segue il malato e la sua famiglia; perchè la cultura familiare è molto importante, anche a livello di sensibilizzazione, di aiuto ad accettare la morte come una logica conclusione della vita o comunque come una parte di essa, a qualsiasi età arrivi. La cultura “dietro” ogni uomo va analizzata e la famiglia coinvolta, anche quando precedentemente non vi è stato dialogo su questi temi esistenziali.

Giugno 2017 Il dottor Jaap Schuurmans dopo l’intervista nel suo studio a Groesbeek, un paese vicino a Nijmegen, davanti ad una sua scultura.

A proposito di morte nella propria casa, che cosa pensa del bimbo di dieci mesi, di cui si è parlato tanto nei mesi scorsi, Charlie Gard, a cui si voleva “ staccare la spina” negandogli persino il diritto di morire a casa propria? Charlie Gard ora è morto, purtroppo, ma le polemiche sono continuate. Idem per il ragazzino olandese di 12 anni affetto da un cancro al cervello, a cui la corte d’appello di Amsterdam ha permesso di decidere di rifiutarsi di sottoporsi alla chemioterapia.
Penso che sia triste che in questi casi debba intervenire un giudice. Olanda ed Inghilterra si assomigliano su questo piano: entrambi si affidano alla giustizia. Soprattutto, come nel caso di Charlie, quando viene coinvolto un bambino, a sua tutela, affinchè non vengano continuate sofferenze o attuate sperimentazioni di cure che gli specialisti giudicano inutili: indipendentemente dal volere dei suoi genitori. Non conosco il dossier medico del piccolo Gard per dare un giudizio approfondito ma posso affermare che non trovo giusto che gli abbiano negato la possibilità di morire naturalmente nella sua casa, nella culla preparata dai genitori per lui.

E del caso di Fabo, un italiano che è andato in Svizzera per morire (e non solo lui) che cosa ne pensa?
Assurdo! Un vero turismo della morte! Il malato va curato a casa sua, senza farlo soffrire in solitudine e penosamente: i mezzi ci sono, ripeto, a livello palliativo, psicologico, assistenziale.

Scusi se insisto per un parere chiaro, ma allora la legge sull’eutanasia in Olanda, di cui lei è stato un sostenitore, si poteva evitare?
Se prima fossero esistite delle alternative, come ci sono ora… sì, penso di sì.

Ancora una bella immagine del dottor Schuurmans nella sua abitazione in Olanda.

Mentre voi state esaminando che cosa è andato male nell’applicazione della vostra legge, nel frattempo in Italia si sta considerando proprio la possibilità di introdurre una legge per l’eutanasia. Che consigli potrebbe darci a riguardo?
E’ difficile dare consigli, in un Paese dove la morte è ancora un tabù e soprattutto su temi tanto delicati. Tuttavia, basandomi sulla nostra lunga esperienza direi che, piuttosto che pensare ad una legge, sarebbe importante che in Italia si approfondisse il tema dal lato etico, morale: si sostenesse il medico nel suo ruolo di appoggio al paziente ma anche nella sua preparazione scientifica. Tutto ciò, lo ribadisco, non deve avvenire alla fine della vita: è fondamentale cominciare a curarlo in anticipo, nel giusto modo e con i mezzi più appropriati per lenire i dolori legati alla sua patologia, o ad altri sintomi a livello terminale che provocano tanta paura (come il timore di morire soffocato, appunto). Torniamo quindi al concetto di intervento globale, sul piano emozionale, di cultura della morte, familiare, umano, di conoscenze mediche, piuttosto che eutanasistico. E’ necessario che il medico non arrivi troppo tardi a trovare la medicina giusta. Fatto questo, non serve l’eutanasia e quindi neanche una legge per “regolarla”.

Vorrei terminare questa interessante ed illuminante intervista, lasciandole l’ultima parola. Termini lei questa frase: eutanasia è…..
Eutanasia è una sconfitta. E’ “un angelo” (il medico) che arriva… e ti strozza.

Maria Cristina Giongo
CHI SONO

Il servizio fotografico è di Hans Linsen.
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Questo mio articolo è uscito in versione ridotta il 21 settembre 2017 nel quotidiano nazionale AVVENIRE. Ecco il link.
Questa (in alto) è la versione integrale in cui riporto tutta la nostra intervista.

Vi segnalo inoltre un’altra importante intervista fatta, sempre per Avvenire, ad un anestesista olandese molto conosciuto, il professor Ben Crul, che applica cure palliative anche con un sistema speciale per non sentire più alcun dolore, soprattutto utile per i malati di cancro. Cliccate su questo link.

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