Immortal – La Giustiziera. Decimo episodio

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Dopo l’incontro con Giana (Immortal) in un bar del Torrino, periferia sud di Roma, Francesco e Monica si sentono emotivamente coinvolti nella vicenda di femminicidio, vittima Gemma, sorella di Giana. I tre stringono un patto di collaborazione per raccogliere prove complementari e fare riaprire il caso o comunque, ridare impulso alle indagini. Monica è più che mai determinata a correre ogni rischio pur di contribuire a fare giustizia su un atroce atto criminale e di discriminazione di genere. Francesco fatica parecchio a starle dietro per impedirle di cacciarsi in guai seri.
Buona lettura.

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Monica in azione

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Monica decise di rimanere a Roma per qualche tempo, ospite dei suoi amici nel quartiere universitario di San Lorenzo, per collaborare nella raccolta di nuove prove contro gli assassini di Gemma.
Giana, da parte sua, era certa che nel fattaccio fosse coinvolto anche un certo Alvaro Corona, “Al” per gli amici. Questi nel corso delle indagini era stato sentito solo come persona informata sui fatti. Sulla trentina, di buona famiglia, Alvaro era l’ultimo e unico maschio di tre figli. Universitario fuori corso in giurisprudenza, –Mi mancano pochi esami!– diceva in famiglia. In realtà in otto anni aveva superato solo l’esame di Diritto Costituzionale con un misero diciotto. Al era vissuto di espedienti, lavoretti provvisori e col supporto economico familiare. La morte della madre per un male inguaribile aveva segnato un nuovo paradigma nella sua esistenza. Suo padre avrebbe voluto che si arruolasse nei Carabinieri, ma era stato scartato perché nel sangue gli erano state rilevate tracce di stupefacenti. Ed è così che, dopo svariate vicissitudini, era approdato al TOG, tra le grinfie di Den. Alvaro andava sempre a caccia di donne, preferibilmente anziane cui spillare denaro o qualche bel regalo: l’ultimo telefonino, camicie, scarpe e maglioni griffati. Era anche riuscito a farsi comprare, a rate, un SUV di seconda mano. Aveva però commesso l’errore di fare il cascamorto proprio con l’amica della sua “benefattrice” e questa, di punto in bianco, l’aveva accannato senza pietà. Conseguentemente, la macchina gli era stata sequestrata per mancato pagamento delle rate.
Monica avrebbe dovuto abbordarlo per conquistare la sua fiducia e carpirgli qualche elemento in più sulla nota faccenda.
Sapendola esuberante ed intraprendente, mi ero preoccupato di definire con lei un specie di codice comportamentale: abbigliamento sobrio, trucco leggero, proprietà di linguaggio, evitare frasi allusive e provocazioni.
Non voglio che tu ti esponga più di tanto con questa gente.– le avevo detto preoccupato –E ricordati che non devi mai sfuggire al mio controllo, intesi?
Agli ordini Capo!– mi aveva risposto mettendosi scherzosamente sugli attenti. Il compiacimento per le mie preoccupazioni le traspariva dal rossore delle sue guance.
Per quello che mi riguardava, oltre a seguire e proteggere Monica, mi sarei dovuto occupare dei rilievi scientifici sul materiale raccolto a Tarquinia. Era un atto dovuto che, per me, rappresentava anche la prova del nove per verificare quanto asserito da Giana, secondo la quale quel pugnale non le era mai appartenuto.
L’indomani, dopo vari tentativi, riuscii ad ottenere un appuntamento con Jhon Hernandez, l’amico poliziotto americano, di origini messicane, di stanza a Roma come ufficiale di collegamento presso l’Ambasciata statunitense. Questa volta lo raggiunsi direttamente nel suo ufficio ubicato in un anonimo appartamento di una traversa di via Vittorio Veneto. Malgrado fosse venuto personalmente ad accogliermi giù all’ingresso, fui sottoposto ugualmente ad un accurato controllo da parte degli agenti di sorveglianza, americani anche loro. Ebbe difficoltà anche lui a giustificare il possesso del pugnale che portavo, repertato in una busta di plastica, nella borsa. Jhon mi chiese scusa –E’ una prassi consolidata che vale per tutti. Con i tempi che corrono é meglio essere prudenti!– disse.
Nessun problema.– lo rassicurai. –Non mi sono dimenticato dei rigidi protocolli cui dovevamo continuamente sottoporci noi portatori di pace nei Balcani, ricordi?
Seguro que si, amigo!– mi rispose dandomi una pacca sulla spalla.
Raggiungemmo il suo ufficio, salendo le scale, al primo piano. Si trattava di rilevare le impronte digitali sul pugnale e sapere a chi appartenessero. Mi offrì un caffè all’americana che bevvi solo a metà. Mi licenziai con l’intesa di sentirci la settimana successiva per l’esito.

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Anche Monica si era data da fare. Mi telefonò nel pomeriggio per dirmi che si era iscritta ad un corso di salsa e merengue nella stessa scuola frequentata da Alvaro Corona.
Per Monica non sarebbe stato difficile individuarlo. Giana ci aveva mostrato alcune fotografie che lo raffigurava insieme agli altri. Alto, di bella presenza; capelli lunghi mesciati, sopracciglia ad ali di gabbiano, bacio rosso tatuato sul collo, brillantino all’orecchio sinistro. Insomma, il classico “piacione” aspirante gigolò. Nelle immagini avevo riconosciuto in “er majella” l’autista della smart grigia dell’inseguimento per le strade dell’EUR. La bionda vicino a Giana nella foto, era invece Serena, la postina dei due primi messaggi lasciati sotto la spazzola del lunotto posteriore della mia macchina.
La sera, verso le nove, andai a prendere Monica alla fermata della Metro EUR Fermi per accompagnarla alla scuola di danza, nelle vicinanze del Colosseo Quadrato. Come previsto, per Monica non fu difficile conoscere Alvaro, anzi fu proprio lui ad abbordarla sfacciatamente, offrendosi di farle da cavaliere. Era passata circa un’ora quando mi chiamò dal bagno.
Mi ha invitata a cena, che gli dico?
Ma quando stasera?
No, no, dopodomani, venerdì. Che faccio?
Rimasi paralizzato, non sapevo cosa dirle. Lei dall’altra parte mi metteva fretta. Lo sapeva che ero in imbarazzo. La cosa la divertiva molto e si sentiva. –Vabbé, digli di sì ma che glielo confermi domani per telefono. A proposito, ma il tuo telefonino è intestato a te?– le chiesi.
No tranquillo, è anonimo.– mi rassicurò.

Dopo la lezione di danza, mentre stavamo mangiando una pizza in un localino senza pretese, Monica mi raccontò che Alvaro si era vantato di essere un broker della Borsa. Aveva fatto di tutto per mettere in mostra il Rolex che portava al polso destro. Ma a lei non era sfuggito il fatto che le lancette restassero sempre ferme. –Sarà un Rolex taroccato come chi lo porta!– aveva sentenziato ridendo.

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Il venerdì sera andai a prenderla alla solita fermata della Metro per accompagnarla nelle vicinanze del bar dove si erano dati appuntamento: lo stesso locale dell’EUR dove questa storia era cominciata quasi un anno prima.
Monica era vestita in modo appariscente: pantaloni neri attillatissimi che mettevano in risalto le sue abbondanti curve, una camicetta argentata col colletto aperto che lasciava intravedere il seno prosperoso ed una cintura di metallo a forma di serpentello dai riflessi viola.
Ma dove ti presenti combinata così!– l’ammonii.
Scusa devo fare la mignotta? Allora, tanto vale che lo faccia per bene!– rispose con aria di sfida.
Guarda che devi solo attaccare bottone con un deficiente per sapere qualche notizia, mica ci devi andare a letto!
E chi te lo dice, scusa! Se la situazione lo richiede… Non sarai mica geloso, spero!
Avrei voluto strozzarla, mi stava dando sui nervi con quella faccia impertinente. Improvvisamente mi accorsi che Monica era proprio bella, malgrado il trucco pesante. Aveva i capelli sciolti, vaporosi appena lavati, labbra rosso fuoco, fard, rimmel e bagno d’essenza “Versace”.
Senti…– le dissi –Tu conciata così con quello non ci esci.
E così tu saresti quello che non è geloso, eh?
Non sono geloso Monica. Cerco solo di proteggerti ed evitare casini. Sei troppo provocante conciata in quel modo! Andavano bene jeans e maglioncino!– chiosai nervoso.
Sì, sì! La solita avveduta precauzione antistupro.
Certo! Poi vi lamentate se vi saltano addosso. Ve l’andate cercando col lanternino, a volte. Eppoi lo sai che quello è un tipo pericoloso. Vuoi fare la fine di Gemma?
Scusa… ma tu allora, che cazzo ci stai a fare?– m’inveì contro a muso duro.
Vabbè,vabbé ! Dai, sali in macchina, andiamo. Fai come cavolo ti pare. Guarda che se ti metti nei casini non sarò io a tirartici fuori!– la minacciai.
E certo, tu ti faresti ammazzare solo per la tua Immortal, magari a colpi di pugnale in una grotta buia!– concluse sarcastica.
Silenzio assoluto durante il breve tragitto. La osservavo di sottecchi. Se la stava ridendo sotto i baffi, la malefica.

Valentino Di Persio
CHI SONO

Continua il prossimo mese.

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4 Responses to “Immortal – La Giustiziera. Decimo episodio”

  1. Nenè scrive:

    Non si fa così però!! non potete far terminare l’episodio sul più bello!!
    Mi piace molto la piega che sta prendendo questo racconto, sono convinta che ben presto ci troveremo catapultati in un poliziesco coi fiocchi 😉
    Come sempre complimenti Valentino, alla prossima :)

    • Valentino scrive:

      Ciao Nenè, grazie per l’entusiasmo. E si, la storia si sta addentrando in una piaga sociale che non da segni di esaurimento, la violenza sulle donne. I casi di “femminicidio” sono diventati ormai una costante giornaliera, una quasi normalità nell’assuefazione generale. Non ti nascondo che provo rabbia e fastidio nel districarmi in un terreno così arido e spinoso. Felice Pasqua. Valentino

  2. ChryBiancoscudato scrive:

    Finalmente si inizia a dare ” un volto” e non solo…a Monica :p Ottima descrizione…bravo Valentino ! Monica sa…come far cadere un uomo ai suoi piedi 😉

    • Valentino scrive:

      Ciao Chry, la tua Monica è un’incosciente senza limiti. Non riesco a ridimensionarla. la penna scorre sempre in suo favore. Grazie per il commento. Buona Pasqua. Valentino

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