“Mille e un respiro” (una recensione di Pietro Pancamo)

MILLE E UN RESPIRO (copertina)

Beno Fignon, Mille e un respiro. Aforismi, afasie, affanni, affabulazioni, affabilità, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2004

 

Rapido e nutriente, l’aforisma è un libro liofilizzato che condensa un intero messaggio, lungo e articolato, in sole due righe. È dunque il libro moderno per eccellenza: di sicuro il più adatto –e altamente consigliabile– a noi frenetici (o pigri?) abitanti della vita presente, che abbiamo sì tempo di leggere, ma per cinque minuti al massimo (se non all’anno).

 

Il bibliotecario (olio su tela di Giuseppe Arcimboldo)

 

-Una comoda e composita biblioteca da viaggio-
Una raccolta di aforismi assortiti –incentrata, per dire, sugli argomenti più vari (ad esempio economia, politica, quotidianità, cuore, tecnologia)– non potrebbe esimersi, allora, in alcun modo dall’apparire –integralmente e sotto ogni profilo– una piccola biblioteca ben formata, da intascare in valigia ed utilizzare magari in ispiaggia, scorpacciandosi via a forza di occhiate e olio di sguardo –così… come svago fra un bagno e l’altro– venti trenta volumi, o meglio sentenze. Ah, si capisce: tutte significative e argute a immagine di quelle che il compianto poeta Beno Fignon radunò per i tipi della Rubbettino in Mille e un respiro. Aforismi, afasie, affanni, affabulazioni, affabilità. Si tratta indiscutibilmente d’un’opera simpatica che copiosamente offre e garantisce una gamma composita di pensieri schietti, i quali ragionano in libertà su Dio e l’uomo, per sorridere in piena sagacia su tv, scienza, amore, anima… e sull’esistenza in genere.

-Parole cortigiane, vil razza dannata!-
Insomma, ci troviamo dinanzi allo stile “dardeggiante” di un’allegria singolare e sintetica, spesso intrisa da un lato (è facile constatarlo) di sussulti bonari che sanno impartire un perdono sbarazzino ai vizi e vezzi del nostro mondo; ma dall’altro subito categorica (e dura) quando c’è da redarguire –con accenti secchi e concisi– il subdolo, vuoto esibizionismo (pneumatico e verboso) di una società da correggere, in cui la comunicazione si è ridotta, sull’onda di una slealtà incipiente, ad abuso imperterrito (addirittura logorroico!) ordito lucidamente per imporsi e ingannare: “Parolaio infuocato. Sotto il fuoco, quasi sempre, la cenere”, “Parole, soldatini in riga nel vocabolario, sempre arruolabili per ogni tipo di guerra”, “Il popolo non capirebbe, dicono. Così i politici amano coltivare il loro orticello di parole geneticamente modificate”, “Volete sapere come procedere affinché le parole non diventino sabbie mobili? Unire la centomila per la risposta”, “La radioattività e i campi magnetici dei telefonini generano tumori. E la parola radioattiva, subatomica e magnetica cosa genera?”.

 

 

-Giocando con stile (con lo stile) fra Zanzotto e Campanile-
E ancora: “La parola non detta è integra, come Dio prima della creazione. È nella parola detta che si è insinuato il maligno”. Per esorcizzarlo (ossia denunciarlo?) il pungente e “acuminato” Fignon –senza mai scadere in accuse urlate, malamente affette dall’accorato disprezzo della satira– mette alla berlina le magagne della realtà, oscillando continuamente fra l’epigramma e la freddura all’inglese, per poi raggiungere istanti d’ironia laconica (“«Come ti guadagni da vivere?», «Avendo un po’ di orrore di me stesso»”) “improntati” ad Achille Campanile e, in particolare, all’umorismo giocoso –di tipo smascherante– che caratterizza “con perseveranza” le famose Tragedie in due battute.
Inoltre non bisogna tacere che, nei drammi spiritosi di Mille e un respiro, emergono (a tratti) anche influenze e virtuosismi linguistici, mutuati chiaramente (o così pare) da un autore creativo e importante come Andrea Zanzotto. Se questi infatti –al termine della lirica Al mondo– converte di getto un nome proprio, innalzandolo al rango d’imperativo (“Su, bello, su./ Su, münchhausen.”), Fignon –dal canto suo– compie una metamorfosi di “stampo” similare, stravolgendo un sostantivo in predicato: “Agli inglesi, filoamericani, non interessa l’Europa. Che Dio extracomunitari gli inglesi!».
E non mancano persino –a completare la pimpante ricchezza di echi e rimandi, che contraddistingue i motti raggruppati in Mille e un respiro– contenute ma limpide “inflessioni” andreottiane, reperibili e “consultabili” a pagina ottantacinque, dove a spiccare sulle altre è una frase ben precisa. Eccola: “La libertà è radioattiva per chi la nega”. E qui il riferimento “corre” indubbiamente, e con spontanea immediatezza, all’ormai classico (anzi molto di più: tradizionale e folcloristico) “il potere logora chi non ce l’ha”.

Pietro Pancamo
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