Terrore per il virus Ebola. Fra Fiorenzo, l’ospedale Saint Jean de Dieu a Tanguieta. Storia di un uomo meraviglioso.

Grazie a Dio ci sono ancora uomini e donne fantastici che donano la loro vita a chi soffre. Senza mai fermarsi, neanche quando sono sopraffatti dalla stanchezza, scoraggiati da eventi nefasti. Loro vanno avanti; cercano nuove cure, nuove strutture di ricovero per i loro malati, nuova energia per aiutarli. GRAZIE A DIO! Lo ripeto; grazie a Dio esistono. Uno di loro è Fra Fiorenzo Priuli.

Fra Fiorenzo Priuli con Papa Francesco

Fiorenzo Priuli è nato 68 anni fa in Val Canonica da una famiglia poverissima. “Facevo il chierichetto per avere qualche centesimo. Ma il mio sogno era quello di diventare meccanico carrozziere”, ha raccontato durante una bella intervista attuata da Rai Due. “ A scuola il mio insegnante di matematica diceva che non capivo niente, per cui non valeva neanche la pena di rispondere alle mie domande.
Ad un certo punto compresi che la mia strada era un’altra, toccato dal più grande dono che Dio possa fare all’ uomo: la fede. Quando entrai in seminario pensai di diventare medico ma i miei superiori mi bloccarono subito affermando che al limite potevo fare… l’infermiere”, esclama ridendo.
“Ricordo che partii il 26 settembre 1969 per il Togo, dove imperversava la lebbra e la tubercolosi: mi ammalai gravemente di tubercolosi. Dovetti tornare in patria. Ero moribondo. Una volta guarito decisi di studiare medicina, iniziai all’ospedale Fatebenefratelli di Milano e poi all’ospedale Saint Jean de Dieu a Tanguieta, alla frontiera di Togo, nel nord del Benin. Lì ho lavorato come direttore e chirugo: giorno e notte. Per 44 anni”.
Ecco attraverso le sue parole chi è questo straordinario missionario che ora è uno dei sanitari più apprezzati dall’ OMS (Organizzazione mondiale della Sanità), di cui fa parte dal 1992, compiendo studi sul morbo del Buruli e dell’AIDS.

Ho voluto intervistarlo anch’io.

La prima cosa che colpisce è il suo dolce sorriso quando parla dei malati guariti, oltre all’espressione umile e compassionevole del volto quando invece racconta delle migliaia di pazienti che non sono riusciti a sopravvivere alle malattie e alla povertà di quel Paese. Allora la sua voce si spezza e gli occhi si colmano di un dolore infinito.

Fra Fiorenzo, vorrei porle subito una domanda concreta, importante: di che cosa avete bisogno nel vostro ospedale?
Abbiamo bisogno che ci venga assicurato il quotidiano. Mi spiego meglio, si fa quasi meno fatica ad ottenere denaro per un apparecchio sanitario o un nuovo reparto che per quello di cui abbiamo necessità ogni giorno per la sopravvivenza e lo sviluppo di queste opere.

Facciamo un po’ di conti?
Per esempio, ogni fine mese ci serve denaro per circa 12.000 euro di medicinali, poi 3, 4000 euro di reattivi di laboratorio per migliaia di esami fra cui anche quelli dei malati di Aids. Bisogna anche pagare i 250 africani medici e paramedici che lavorano in ospedale (80.000 euro). Pensi che solo di carburante abbiamo speso più di 40.000 euro. Sterilizziamo giorno e notte: in quanto operiamo giorno e notte! Il tifo da noi si evolve in forma talmente aggressiva che arriva a perforare l’intestino con una mortalità elevatissima, anche in ospedale. Da noi arrivano malati gravissimi con terribili peritoniti causate dal tifo, e ferite che anche dopo tante operazioni seguitano ad infettarsi. Un malato ordinario ci costa 40 euro al giorno e per riuscire a coprire almeno una parte delle spese abbiamo lanciato un’iniziativa: ” l’adozione di un letto”. Chiediamo di poterci aiutare con 15 euro; noi domandiamo ai pazienti l’equivalente di circa 3 euro al giorno, ma spesso senza ottenerlo.

Lei è ancora direttore dell’ospedale Saint Jean de Dieu?
No, ho passato le consegne ai miei confratelli africani, affidando a loro la direzione. Mi ero reso conto che facendo il direttore trascuravo i malati; dedicandomi a loro…. trascuravo invece la gestione ospedaliera. Per me era un grande patema d’animo, dovevo prendere una decisione: ho scelto di occuparmi solo dei malati. Comunque rimango consigliere della provincia del Benin e del Togo per grandi ospedali e dirigo un’associazione di 20 centri sanitari nel Benin. Per me la notte è corta. Adesso il nuovo direttore non dorme di notte per tutti i debiti che abbiamo, circa 200.000 euro. Io mi sono sempre affidato alla provvidenza ma lui fa fatica a crederci….

Emergenza Ebola. Come è la situazione da voi?
C’è molta preoccupazione. Sono già morti tre frati della nostra comunità i Monrovia. Due erano miei allievi, mentre l’Europeo, di cui si è parlato nelle tevisioni europee, malgrado il trasferimento in Spagna è deceduto. Circa 20 giorni fa abbiamo avuto due casi sospetti. Il primo sicuramente non è morto a causa dell’Ebola. Il secondo riguarda una giovane donna della nostra regione che viveva in Nigeria con la sua famiglia e che aveva dei sintomi abbastanza evocatori dell’Ebola. In realtà, malgrado sia da noi da 11 giorni, alloggiata nel piccolo reparto di grandi ustionati che abbiamo svuotato per creare l’isolamento, varie altre malattie hanno giustificato il suo stato di salute e oggi pensiamo che non si tratti di un caso di Ebola. Ma la diagnosi definitiva non è ancora stata fatta in quanto il siero è stato mandato all’OMS. Nel mio nosocomio c’è una situazione particolare legata al fatto che è l’ospedale di ultimo soccorso per una regione infinita. Arrivano malati dalle frontiere più vicine: Nigeria, Niger, Burkina, Togo. Spesso allo stadio terminale, senza denaro. Ma c’è dell’altro: la nostra regione è poverissima, afflitta da tante carestie. Quando il raccolto va male i nostri giovani emigrano in Nigeria. Ma poi ritornano indietro all’inizio della stagione della piogge o nel caso si ammalino gravemente. In quanto sanno che nella loro regione c’è l’ospedale di Tanguieta e in più sono vicini alla loro famiglia d’origine. C’è inoltre il problema che le frontiere in Africa sono “fasulle”, nel senso che esistono le frontiere sulle grandi strade ma ci sono mille sentieri nella foresta e nella savana che permettono alle popolazioni de passare da uno all’altro paese molto facilmente e senza controlli. Quindi la situazione sfugge di mano. Ieri ho parlato a lungo con il ministro della Sanità del Benin, una donna favolosa e molto competente. Ho chiesto a lei, al ministero spagnolo e alla croce rossa di poterci dotare di un modulo per i casi sospetti. Ho spiegato che è molto importante che venga preparato un reparto speciale da noi, per accoglierli.

Ancora una bella immagine di Fra Fiorenzo Priuli.

Anche in questo caso Le rifaccio la domanda di prima; di che cosa avete bisogno adesso per prepararvi a questa evenienza? In che cosa possiamo aiutarvi, per aiutare in nostri fratelli africani pure noi?
Avremmo bisogno di una tenda molto grande per tenerli in isolamento, di almeno 10 letti, con le attrezzature necessarie.
All’ospedale civile di Legnano svolge la sua professione un bravo infettivologo, il dottor Paolo Viganò, che ci aiuta molto. Ha fondato un’associazione per noi, la GS Africa (indirizzo email: gsafrica (at) tin.it) Appena può viene, anche più volte all’anno, nel nostro ospedale.

“Abbiamo bisogno di una grande tenda per i malati da tenere in isolamento”, ha detto Fra Fiorenzo.

Ho sentito al telegiornale che in Sierra Leone la popolazione si è ribellata alla decisione di recintare la zona per il timore di diffusione del morbo. Ci sono stati scontri. E’giusto “chiuderli dentro”?
Hanno fatto bene e l’hanno fatto per il loro bene. Vede, il problema è che spesso le popolazioni non credono alla possibilità di epidemie; come è stato per l’Aids. Spesso non comprendono neppure il fatto che si tratta di malattie gravi e contagiose. Per l’Aids all’inizio pensavano che fosse una “ scusa” per limitare i rapporti sessuali e le nascite. Tutto ciò è troppo lontano dalla loro mentalità. Ecco perchè non vogliono farsi “chiudere dentro” adesso.

In che senso, può spiegarci meglio?
Nel senso che bisogna sapere che la loro cultura e le loro tradizioni locali hanno una forza enorme. Ci vorranno ancora tanti anni perchè le cambino . Io ci sono riuscito un po’… in 50 anni! Quando sono arrivato nessuna donna partoriva in ospedale. Ora in ospedale partoriscono 1700 donne all’anno. Nonostante ciò la mortalità è ancora alta. In passato su 7, 8 bambini nati, ne sopravvivevano solo 2 o 3. Nel 1979 sono morti per morbillo 5000 bambini. Quest’anno nessuno! Le faccio un altro esempio: quanto ero in Togo il Ministro della Sanità mi raccontò che in una città vicina all’ospedale un malato di Aids, rientrato dall’ospedale, annunciò ai vecchi della famiglia di essere malato. A questo punto assoldarono subito un grande guaritore che si complimentò con loro per aver fatto ricorso a lui, dicendo: “questa era una malattia mortale ma i bianchi hanno inventato il vaccino per tutte le malattie più gravi ”. Poi fece convocare tutti i membri della sua famiglia e dopo aver fatto una scarnificazione sulla spalla dell’ammalato con una lama, prelevò il suo sangue: indi fece delle incisioni sulle spalle di tutti i membri della famiglia inserendolo nelle loro ferite e dicendo che cosi “sarebbero stati protetti”.
La conclusione è che nel giro di 2 anni quasi tutta la famiglia morì di Aids…

Quindi a maggior ragione è importante creare un cordone di sicurezza…
Sì, altrimenti potrebbe diffondersi un’epidemia irrefrenabile. Allora, bloccarli sì, ma contemporaneamente compiendo un gran lavoro di sensibilizzazione ed informazione; come stiamo facendo noi da 50 anni.

Sierra Leone,agosto 2014: recinti per evitare che i malati colpiti da Ebola lascino il Paese.

Lei, uomo di fede, riesce a parlare di Dio, a chi patisce simili sofferenze? Di un Dio buono?
Con i miei pazienti cerco sempre di instaurare un dialogo e questo mi penalizza, perchè così tutti vogliono farsi curare solo da me. Come religioso posso solo dire che sono molto fortunato ad avere il dono della fede. La forza che Dio mi infonde attraverso la fede cerco poi di trasmetterla a chi soffre. Il problema è che soltanto a Tanguieta ci sono 12 lingue differenti, per cui comunicare è spesso difficile e ci serviamo di uno o più interpreti per poter chiedere agli ammalati le informazioni necessarie e dar loro consigli. Tuttavia a volte basta una carezza, una mano posata sulla spalla… Inoltre i nostri pazienti sanno che alla sera, quando ci riuniamo nella cappella, preghiamo per loro. E si sentono confortati. Le mie sofferenze, e le assicuro che sono state parecchie, non mi hanno fatto perdere la fede. Ho passato momenti veramente bui; ma il sole tornava sempre a splendere dopo un po’. Questo è il segnale positivo che passo a chi patisce. Il nostro Dio è un Dio buono, tanto buono. Non è lui che manda la sofferenza. Il male è spesso un frutto della nostra natura debole; il dolore si potrebbe combattere, sarebbe minore, se solo impegnassimo una minima parte di ciò che spendiamo per fare la guerra nella ricerca di cure e rimedi per le malattie.

Comunque dedicarsi completamente a chi soffre, rinunciando ad una propria vita “ normale” come ha fatto lei, non è certo una cosa da tutti….
Non sono un eroe; sono soltanto un uomo fortunato che si è trovato a vivere una delle più belle avventure che esistono. Rifarei subito lo stesso percorso, sceglierei sempre la stessa strada. Quando alla sera sono così stanco, che faccio persino fatica a salire le scale, dopo una lunghissima giornata di interventi chirurgici mi consolo pensando che ho speso bene la mia giornata e ringrazio il Signore che vede tutto e che è la sorgente di questa forza. Auguro di provare questa sensazione anche ai miei allievi africani.

Ma secondo Lei, si nasce buoni (o cattivi)? Lo spirito caritatevole è già impresso nel nostro Dna o lo si diventa?
Che domanda difficile! Io credo che nasciamo tutti buoni. Se poi diventiamo cattivi è colpa delle circostanze, forse della famiglia, di esperienze sbagliate. Secondo me, e ne sono testimone, è il dono della fede che cambia la vita, che ti fa vincere pericoli e minacce. Di sicuro non va condannato chi “è cattivo”; piuttosto va aiutato a trovare la fede, la giusta via, i veri valori per cui vale la pena di esistere.

In un’intervista passata ha dichiarato che crede nella fitoterapia.
E’vero. In natura ci sono medicine alternative per parecchie malattie. Purtroppo “i guaritori”, morendo, si portano via il loro grande patrimonio di conoscenze perchè non riescono o non sanno a chi trasmetterlo. Io ho lavorato con un guaritore che curava l’ asma con l’estratto della corteccia di un tronco d’albero. Non gli ho mai chiesto quale fosse questo albero sino al giorno in cui per un caso urgente pure di asma grave, è stato lui che mi ha chiesto di aiutarlo ad andare a raccogliere la corteccia. Grazie a questo rimedio naturale l’asma guarisce completamente. Ma deve essere raccolto in momenti particolari di vitalità della linfa e a seconda delle stagioni propizie.

Se le dico la parola ” imbuto”, Lei che cosa mi risponde?
Le racconto questa bella notizia. Durante i miei 45 anni in Africa ho cercato il modo migliore per risolvere un problema molto importante, quello del recupero del sangue dalle emorragie endocavitarie, per poterlo ritrasfondere immediatamente all’ammalato durante l’intervento. E’molto utile nei casi di gravidanze extrauterine e in quelli in cui avviene la rottura della milza in seguito a gravi incidenti. Per gravidanze extrauterine vengono operate in un mese più di 50 donne. Questa emorragia è quasi sempre mortale. Le donne che si salvano hanno bisogno di molte trasfusioni con il rischio di contrarre infezioni virali (Aids, epatiti, ecc.). Quando vedevo tutto questa sangue “buttato via” mi domandavo come avrei potuto recuperarlo…All’inizio cominciai a strizzare le bende intrise di sangue in un catino, poi mi venne l’idea di usare un imbuto (proprio come quelli da cucina con più buchi, una specie di ” colino”) per recuperare questo sangue dall’addome, dopo averlo inserito nel medesimo. I miei primi esperimenti andarono molto bene. Quando l’Organizzazione della Sanità lo venne a sapere mi chiese di brevettare il mio sistema e ora sono felice di poter annunciare che a giorni inizierò un programma di informazione e formazione per tutti i chirurghi del Benin, perchè prima della fine dell’anno possa essere usato in tutti gli ospedali della regione. Questo ancora grazie al Ministro della Sanità del Benin, che è molto attiva e ci sostiene spesso in ogni nostra iniziativa. L’abbiamo brevettato non più con il nome di imbuto ma di CONO DI TANGUIETA. Qualcuno avrebbe voluto ” battezzare” la mia scoperta dandole il mio nome ma ho preferito così.

Tornando alla paura per l’Ebola, un ultimo pensiero su cui riflettere….
Il virus dell’Ebola ha un tempo di incubazione che va dai 2 ai 21 giorni. In Africa la gente viaggia moltissimo. Attualmente nel nostro ospedale non siamo pronti a far fronte ad una simile calamità; se dovesse succedere, forse nessun Paese del mondo è preparato veramente a fare fronte a questa malattia così omicida. Non lo è nessuno, in nessuna parte del mondo. Giorni fa, mentre io stesso viaggiavo per il mio lavoro di organizzazione e contatti con il ministero, ho visto molti turisti europei, al nord e al sud del Belin. Che cosa prova che non abbiano avuto contatti con persone con questa malattia già in fase di incubazione? La prudenza è obbligatoria se non si vuole piangere dopo. E anche prepararsi ad un’eventuale emergenza.

Intervista di Maria Cristina Giongo

CHI SONO

~~~~~~

CARI AMICI LETTORI,

“Abbiamo bisogno di dotare l’hôpital Saint Jean de Dieu de Tanguiéta di un posto di ricovero adatto per l’isolamento e le cure per gli ammalati contagiosi ed in particolare per gli ammalati o sospetti di EBOLA, nella speranza che non ci sia mai bisogno di utilizzarlo ”, mi ha detto Fra Fiorenzo nell’intervista che avete appena letto. Possiamo aiutarlo? So che siete molto disponibili e sensibili (non per niente siete amici miei e del Cofanetto magico!); infatti alcune splendide persone che conosco si sono già mosse via il mio primo appello postato su facebook. Spero quindi che anche ora tanti altri raccolgano questa richiesta di aiuto. Abbiamo trascorso tutti una bella vacanza; pensiamo adesso ai fratelli che hanno bisogno di noi e a persone meravigliose, come il nostro caro Fra Fiorenzo, che stanno dando la vita per loro. Gratuitamente. Solo per amore del prossimo più povero, sofferente, maltrattato, isolato, dimenticato.
Vi segnalo il numero di conto bancario dove inviare le vostre offerte; da tenere sottomano tutto l’anno, appena si è potuto risparmiare qualcosa per chi sta peggio di noi. Perchè loro hanno bisogno di tutto; e ancora più del tutto.
Associazione U.T.A.onlus C/C postale 14280366. Causale: aiuti a Fra Fiorenzo Tanguieta Benin

Oppure:
Giambattista Priuli
Banca Popolare di Milano ag.58
Cernusco sul Naviglio
IBAN IT59 Y055 8432 8800 000 00012927
SWIFT BPMIITM1058

Ecco altri due link interessanti.
Il primo riguarda l’intervista che Rai due ha fatto a Fra Fiorenzo:
gloria.tv
arcoiris.tv

~~~~~~

Per ulteriori informazioni potete rivolgervi ad Elvio Basile, Direttore dell’Ufficio Missioni del Fatebenefratelli.

Proibita la riproduzione del testo senza citare autore e fonte di provenienza.
No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted in any form or by any means, electronic, mechanical, photocopying, recording, or otherwise, without written permission in writing from the author.

Avvertenza:
• I diritti degli articoli e dei documenti pubblicati nel seguente articolo appartengono ai rispettivi proprietari; così pure le immagini.
• Alcune foto sono state prelevate dal web tramite un programma di download automatico e non si è a conoscenza se sono coperte da copyright o meno; se così fosse i legittimi proprietari dei diritti di copyright possono richiederne la cancellazione che verrà immediatamente effettuata.

Tags: , , , , , , ,

7 Responses to “Terrore per il virus Ebola. Fra Fiorenzo, l’ospedale Saint Jean de Dieu a Tanguieta. Storia di un uomo meraviglioso.”

  1. Claudia Tagliabue scrive:

    Magistrale intervista, Cristina, sei veramente fenomenale !!! Ho già commentato questa drammatica (a dir poco) situazione, altro nn saprei che aggiungere, se non un GRAZIE a FRA FIORENZO..!!! Il “CONO DI TANGUIETA” è un’invenzione geniale…!!! Spero che questo articolo sensibilizzi molti e che arrivino aiuti, tanto necessari, quanto indispensabili….

    • admin scrive:

      Grazie di cuore, cara Claudia e so che tu hai già provveduto….quindi doppiamente grazie! Anche a me ha colpito molto la storia del Cono di Tanguieta, tra l’ altro raccontatami ” fuori intervista”, quando ci siamo sentiti di nuovo e…subito aggiunta all’ ultimo momento!
      E’ incredibile come il desiderio di aiutare gli altri porti anche ad una creatività geniale, dettata dalla necessità. E pensare che c’è chi pensa solo a fare soldi per i propri interessi. Niente di male, ovviamente; ciascuno di noi vive grazie al proprio lavoro. Ma quando abbiamo tutto, credo che risparmiare qualcosa per chi non ha niente, sia molto importante. Lo dico sempre ai miei figli; li ho cresciuti con questo pensiero e i miei genitori, a loro volta, hanno cresciuto me in questo modo. Loro stessi erano attivissimi in opere di solidarietà. Mio padre, primario medico, metteva sempre la sua scienza e umanità a favore di chi soffriva ed era indigente. Da chi aveva denaro si faceva pagare; da chi ne era sprovvisto no.

  2. Anna scrive:

    Bellissimo articolo.con il tutto il suo gran daffare, il nostro amato Fra Fiorenzo non ha citato gli Amici diTanguieta Onlus… Visitate il nostro sito e aiutateci: tutto quello che riusciamo a raccogliere va a lui! http://Www.amiciditanguieta.org cordiali saluti, Anna Casati, consigliere associazione

    • admin scrive:

      Grazie, Anna, anche per aver citato il vostro sito. In effetti Fra Fiorenzo lavora giorno e notte; i nostri collegamenti, compreso il primo per l’ intervista, sono sempre avvenuti tardissimo alla sera. A volte lo chiamavo via skype all’ una di notte e non aveva ancora finito di operare. Ha dato e continua a dare la sua vita per chi soffre. Di sicuro non vi ha dimenticati apposta, come hai precisato anche tu. Comunque se siete presenti sul suo sito i miei lettori, sia del Cofanetto, che delle nostre pagine di facebook, sarebbero comunque arrivati a voi. Ma hai fatto bene a scriverci. Cari saluti, Maria Cristina Giongo