Omaggio al gatto Pino. Prima parte

Questa è una storia vera, una storia di gatti di strada raccontata dalla mia amica scrittrice Maria Cristina Orga, gattara fiera che da anni si prende cura di una piccola colonia che vive nei viali del parco in cui abita.

Buona lettura! Imma Paone.

gattp pino

Era il più piccolo della cucciolata.

L’ultimo nato, forse. L’unico sopravvissuto, di certo.

La gatta bianca e nera con gli occhi azzurro cielo che l’aveva messo al mondo aveva un istinto materno commovente. Da leonessa.

Era nata in un condominio. E nei viali di quel condominio era riuscita a sopravvivere e a diventare una bellissima micia libera e fiera. Da piccola si accompagnava sempre ad un fratellino del tutto simile a lei. Forse solo con meno macchie nere sul mantello. Erano inseparabili e allora fu immediato dar loro nome Paco e Cico.

L’idea era che fossero maschi. E invece erano femmine tutte e due. Una sera Paco commise l’errore fatale di avventurarsi fuori dal cancello attratta da un cartoccio di avanzi che qualche imbecille aveva inopportunamente lasciato sotto il bordo del marciapiede, pensando magari di compiere un gesto caritatevole.

 Solo chi non capisce nulla di gatti può fare una cosa del genere. Paco allattava. Aveva bisogno di cibo. Non vide la macchina che sopraggiungeva a folle velocità o  il Nuvolari di turno non vide lei… O invece la vide fin troppo bene.

Così Cico rimase la sola matriarca.

C’era qualcuno che le portava da mangiare e le rivolgeva sorrisi adoranti e c’era qualcun altro che avrebbe goduto nel metterla sotto con l’auto, offeso dallo splendore del suo manto lustro e dalla dignità del suo sguardo seducente e del suo incedere elegante.

Ma Cico riuscì a sfuggire a tutti gli attentati.

La primavera stentava a bucare il gelido manto dell’inverno quando sentì giungere il momento del parto, così vagò al lungo cercando un nido accogliente in cui consegnare al mondo i suoi piccini.

E lo trovò in fondo alle scale, in un anfratto sotto il pavimento, dove correvano i tubi del riscaldamento centralizzato. Così i suoi cinque cuccioli vennero alla luce.

Mamma gatta andava e veniva dal rifugio approfittando di una portafinestra che le consentiva di uscire all’aperto a cercare cibo di giorno e tornare dai suoi figlioli la sera con le mammelle gonfie di latte e il cuore gonfio d’amore.

Sembrava un ottimo rifugio, impenetrabile ai nemici.

I cinque gattini crescevano sani e felici al riparo da ogni pericolo. Almeno così sembrava.

Gli uomini però sono spesso gelosi della felicità altrui. E anche le donne, purtroppo. Donne che nonostante abbiano messo al mondo dei figli, non sono madri. E non riconoscono l’amore di una madre. Né lo rispettano.

Così, un brutto giorno, alla portafinestra venne messo un lucchetto.

Qualcuno forzò il lucchetto con delle pinze. E Cico vinse la prima battaglia.

Il lucchetto venne rimesso con tanto di catenella di acciaio, venne nuovamente rimosso e allora fu guerra dichiarata tra due delle famiglie che abitavano nello stabile, con tanto di insulti e aggressioni da parte della donna del piano rialzato al vecchio signore del secondo piano che difendeva le ragioni della gatta.

Né bastò la registrazione alla ASL della colonia felina, che avrebbe pertanto goduto ufficialmente delle tutele previste dalla legge, a far recedere la donna e il suo pavido consorte dall’intento criminoso di impedire a Cico l’accesso al nido conducendo i gattini alla morte per inedia, tant’è che alla portafinestra fu messo un lucchetto più robusto. Che, regolarmente, venne divelto.

Fu allora che Cico approfittando di una raggiante mattina di sole, adottò la  saggia risoluzione di trasportare i gattini all’esterno e di adottare come riparo l’alloggiamento esterno dei contatori del gas.

Così la guerra tra Montecchi e Capuleti apparentemente finì.

La primavera era ormai esplosa in tutto il suo splendore e i piccoli giocavano tra l’erba nuova delle aiuole, sotto lo sguardo sempre vigile di mamma gatta.

mamma pino

Poi cominciarono a farsi più audaci e a misurare le proprie forze e il proprio coraggio eludendo il controllo materno e spingendosi sempre  più lontano.

Non è facile star dietro a cinque figli adolescenti, soprattutto quando sei una gatta bellissima ed oltre ad attirare l’invidia degli umani attrai l’attenzione di maschi alfa randagi che bighellonano in giro tutto il giorno fiutando l’aria con la coda ritta.

Uno di questi, un imponente nero con la testa enorme e gli occhi gialli adocchiò Cico dall’alto del muro di cinta del parco e decise che per lei era finito il tempo della maternità ed era tornato invece il tempo dell’amore.

Pellecchia, così venne chiamato quel micio straniero e prepotente, portò lo scompiglio in famiglia.

Un paio di giorni dopo la sua comparsa, inspiegabilmente i gattini diventarono quattro, poi tre quando un corpicino senza vita venne rinvenuto nella zona dei box, poi due il pomeriggio in cui Cico tentava disperatamente di riportare alla coscienza quello con la testa mezza staccata dal collo leccandolo e scuotendolo forsennatamente.

Pellecchia osservava da lontano leccandosi le zampe anteriori per nulla sconvolto dalla scena né dall’evidente disperazione della gatta.

Poi anche il quarto figlio sparì, forse “imbarcato” nel motore di un’automobile e sbarcato chissà dove.

Dei cinque moschettieri non ne restava ormai che uno.

Aveva il dorso completamente nero tranne che per la punta della coda immacolata come un pennello da pittore, i capelli neri perfettamente divisi sulla fronte in due bande, come avesse la riga al centro, grandi occhi a mandorla verde giada, il volto completamente bianco e un accenno di “mosca” nero proprio alla base del mento, le zampe erano bianche, bianco anche un particolarissimo disegno sulla coscia destra, come delle spirali. Era così piccolo, così  nero e così  rapido nel nascondersi appena avvertiva il minimo presentimento di pericolo che venne chiamato Topino. Da lì a  Pino il passo fu breve.

Riuscì ad essere svezzato completamente prima che Cico fosse aggredita a calci e ridotta in fin di vita da un degno compare della donna del piano rialzato. L’uomo aveva preso come un affronto personale l’abitudine della gatta di crogiolarsi al sole mollemente adagiata sul cofano della sua macchina e aveva annunciato la decisione di fargliela pagare se l’avesse nuovamente sorpresa in tale oltraggioso atteggiamento.

Non vi sono dubbi che abbia mantenuto la promessa, perché solo un paio di giorni dopo il proclama, la povera matriarca venne rinvenuta nell’anfratto che separa i contatori del gas dal muro, con le zampe posteriori completamente inerti e lo sguardo di chi è ormai rassegnato a morire.

Fu soccorsa e portata all’ospedale veterinario di Napoli, dove il medico di turno accertò che aveva il bacino fracassato, ma, nonostante fosse più che evidente e supportata dal racconto dei fatti dei soccorritori, non volle scrivere sul referto che la causa de trauma fosse riconducibile a maltrattamenti. Avrebbe rischiato di venire coinvolto come testimone  in un processo penale, perché venne fatto nome e cognome del presunto aggressore e un documento medico che confermasse la tesi delle percosse sarebbe stato sufficiente a far scattare la denuncia.

E invece scrisse che presumibilmente era caduta in malo modo da un muro.

Ad ogni buon conto, Cico rimase ricoverata un mese, venne curata, sterilizzata e riaffidata perché venisse rimessa in libertà nel suo ambiente. Ma il condominio non era più un luogo sicuro per lei.

E allora venne adottata, ma viveva in gabbia  perché non accettava alcun contatto con l’uomo che se ne prendeva amorevolmente cura né era disposta a socializzare con gli altri gatti che abitavano la casa. Solo dopo oltre un anno e mezzo riconquistò quel po’ di serenità da indurre il suo ospite a consentirle di trascorrere un po’ di tempo fuori dalle sbarre, ma solo in presenza di lui.

Maria Cristina Orga

 ***

Il 16 maggio la seconda ed ultima parte.

pino

Imma Paone

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