Raccontami una storia. Giochiamo ancora, papà?

Un incidente, poi la notizia: mio padre era in coma. Da allora la mia vita cambiò. Iniziò una relazione fatta di sogni, voci e tanto amore.

Questo mese vi dedico la bellissima lettera ricevuta da un giovane amico, Matteo Zanni, campione di pattinaggio, spesso in giro per il mondo per partecipare nei vari Paesi allo spettacolo televisivo “Ballando sul ghiaccio con le stelle.” Ho conosciuto Matteo intervistandolo per www. Blogolanda.it e ho subito intuito che era un ragazzo speciale.

Ma al di là della sua gentilezza, creatività e bravura come pattinatore, ho scoperto una tristezza di fondo ed una grande interiorità che mi hanno colpita, soprattutto in una persona così giovane. Mi sembrava… come se avesse vissuto due volte; come se nella sua esistenza fosse subentrato qualcosa che improvvisamente lo avesse maturato rapidamente. Poi mi è arrivata questa lettera in cui mi racconta una storia di dolore e di amore senza fine. Gli ho chiesto il permesso di dividerla con i miei lettori. Me l’ha accordato, sapendo quanto sia sensibile all’argomento dell’eutanasia e alla condivisione delle emozioni più importanti e profonde.
Maria Cristina Giongo

Il padre di Matteo, Dario Zanni

Avevo paura ad incrociare lo sguardo di mia madre. Ho sempre avuto paura a farlo, non so per quale motivo. E’ come se ogni volta rivelasse qualcosa di nascosto dentro di me, che lei conosceva bene ed io, ancora, no. Però il 24 gennaio 2005, ho dovuto farlo. Mi ha chiamato verso sera.
“Matteo corri a casa, tuo padre è in fin di vita dopo un grave incidente. Dobbiamo andare in rianimazione”.

Tutto quello che ho fatto fino a quel giorno è come se non avesse più senso.
Papà era il mio eroe. Papà era quello che risolveva i problemi e poteva risolvere qualunque cosa. Papà era quello che mi aveva insegnato a pattinare sul ghiaccio. Papà era colui mi faceva divertire.
Quando sono entrato in rianimazione ho faticato a riconoscere il mio eroe e nonostante i medici ci avessero detto che papà non avrebbe passato la notte, è come se avesse voluto darmi un’altra prova di quanto fosse forte agli occhi miei da bambino. Passò la notte. Passò anche una settimana. Ma papà non si risvegliava da quel coma profondo in cui giaceva. Presto ci domandammo se papà avesse ripreso conoscenza o no.

Io dentro di me ho sempre avuto la sensazione che non volesse più tornare, che avesse chiuso con questo mondo, che avesse dato già tutto e non volesse più soffrire e anche che volesse mettermi alla prova come a dire: “forza Matteo, ora sei grande e per vedere se sei uomo dovrai farcela contando solo sulle tue forze”.
Forse era quello il dolore che mi avevano raccontato e che non avevo mai capito. Non puoi capire il dolore se non lo provi davvero. Però bisogna trattarlo con rispetto il dolore, perchè come un bambino prematuro, comunque vadano le cose, sarà nel tempo amore. Tutto gira intorno all’amore. Chissà quanto amore c’è nel dolore. Quando non esiste il dolore allora non è mai esistito l’amore.
Quasi avevo paura a chiedere a mamma qualsiasi cosa. Non so se fosse più difficile per me vedere lei avvolta nel dolore o vedere lui vegetare nel letto.

Dopo un mese, a condizioni stabilizzate, io non mi rendevo conto di quello che stava succedendo. Ad oggi ancora mi viene difficile ricomporre l’immagine di quei mesi successivi all’incidente. Io e papà abbiamo dato vita ad una nuova relazione fatta di sogni e voci.
I sogni avevano tutti una caratteristica in comune: ogni volta sognavo che il papà forte, il papà eroe che mi ha sempre protetto venisse a prendermi e a portarmi via mentre giacevo sul bordo del letto del papà morente, quasi a voler farmi dimenticare o a dirmi che quello non mi apparteneva.

Avevo paura ad incontrare mamma e nonna quando stavo vicino a papà. Da un lato invidiavo tanto la loro fede e la speranza con cui ogni giorno parlavano, invano, a papà. Dall’altro avevo paura di scoraggiarle nel caso scoprissero in me un minimo di rassegnazione. Non volevo far crollare il loro castello di speranze costruito giorno dopo giorno. Era tutto in equilibrio così precario che anche una voce troppo forte pensavo potesse mandare tutto in frantumi.
Ed io non ero capace di credere come sapevano fare loro.

Papà era immobile a letto. Apriva gli occhi a volte e seguiva le persone con lo sguardo ma io non mi sono mai convinto che fosse uno sguardo cosciente. Avrei voluto tanto che lo fosse. Gli ho parlato tanto, quando riuscivo, nei pochi momenti dove mi trovavo solo con lui. Ma con la luce del giorno, non riuscivamo a parlare. Lo baciavo, lo toccavo ma non mi rispondeva. Tornava prepotente durante la notte, a pulire le ceneri dei nostri dolori. Tornava per farmi giocare come da bambino, cercava di strapparmi dal bordo di quel letto ogni notte e mi diceva, riferendosi al papà malato nel letto, “ non dargli retta, non ti ascolterà. Devi venire con me”.

Matteo con suo padre Dario ed il fratello minore Tommaso

Ogni notte sempre il solito rituale. La mia paura di addormentarmi era tanta, era un incontro davvero temuto il nostro. Temuto perchè non sapevo se il suo arrivo, puntuale, mi potesse spaventare e temuto perchè non sapevo se al risveglio potessi sentirmi male capendo che il sogno era molto più bello della realtà.
Papà con il passare dei mesi era sempre più magro e la sua salute sempre più debole. Facile alle infezioni. Pesava sempre meno. E sempre incosciente. Almeno per me. Mi auguravo solo che non si rendesse conto di dove fosse finito, davvero. Mi chiedevo come fosse possibile dopo un anno avere ancora un minimo di speranza per un risveglio, per un ritorno alla vita. Nonostante lo pregassi, gli parlassi e gli raccontassi della mia vita quotidiana.
Ho continuato ad ammirare la forza di volontà di mia nonna e di mia madre. Anche nel dolore hanno sempre avuto una fede di ferro e hanno sempre creduto che ce la potesse fare. Io ci provavo e non ci riuscivo.

Il 12 luglio 2007 mi trovato a Berlino quando mamma mi ha chiamato per dirmi di prenotare un volo per Milano al più presto, perchè probabilmente non avrei più visto papà in vita e le sue condizioni erano peggiorate. Avevano iniziato con la morfina. Io spero davvero che lo abbiano aiutato. In quel momento ho sperato davvero che qualche buon medico avesse messo da parte la sua etica e avesse ascoltato i nostri lamenti decidendo di farlo dormire per sempre. Non lo saprò mai.
La mattina del 13 luglio il nostro eroe aveva smesso di soffrire. Per me è stato un giorno di liberazione ed è come se fossimo tornati a parlare. Ero in aeroporto e stavo ritirando i bagagli purtroppo e non ho potuto vederlo morire. Mi è dispiaciuto e fatto rabbia. Quasi avesse scelto di risparmiare a me il suono dell’elettrocardiogramma piatto ma non al resto della mia famiglia.

Era una giornata di sole incredibile, non una nuvola. Non avevo più forza di fare nulla e lui solo tornava ad abbracciarmi nei sogni. Sogni di musica, mi chiedeva di saltare nel vuoto . “senza gravità non ci sono dolore e distanze perchè tutto è alla nostra portata “. Allora ho saltato nel vuoto, dopo che mi aveva chiesto di non girare la testa indietro, “ non lascerai niente dietro, ora guarda avanti e seguimi Matteo, quel corpo in quel letto non hai mai sofferto nulla. Il mio spirito ti ha sempre seguito”.
Ma quanto è difficile farsi capire, soprattutto farsi capire senza parlare: ma questo si sa. Non riuscivo proprio a parlare di questo dolore e volevo che gli altri mi capissero senza che io manifestassi nulla, a partire da mia mamma. Figuriamoci poi … raccontare questi sogni ad altre persone! Praticamente impossibile. Nessuno potrebbe capire la mia voce che al solo rievocare certe scene diventata debole.

Era un dolore così silente che quando si riaccendeva nei miei cammini solitari prendeva fuoco e invece della cenere nasceva un sogno meraviglioso fatto di eterna primavera e nuove sorprese. Come potevo parlare alle persone intorno me di quel patto che abbiamo fatto io e lui? Qual’era il patto? Non si può raccontare, un segreto che vuol rimanere tale per il semplice fatto che nemmeno io saprei trovare le parole per raccontarlo. Di sicuro non ci saremmo mai lasciati.

Sono passati 7 anni ed io non ho ancora capito se io stia vivendo nella realtà o nell’immaginazione. Non esiste dolore per me. Neanche sofferenza. Ma ho dei dubbi. Se dovessi fare un puzzle di questa storia allora salirei sulla sua macchina, metterei un cd di Lou Reed e viaggerei senza meta. “Senza meta” dovrebbe essere l’anticamera della felicità. Felicità fatta di ricordi trasportati nel presente, attualizzati e pieni di vita, senza i rumori stridenti della lamiera della carrozzera che avvolgeva papà in un lago di sangue. Felicità perchè dopo tutto non mi faccio troppe aspettative e tutto è leggero come un foglia d’autunno.

Giochiamo ancora, Papà?

Poi lui ritorna la sera per darmi nuove idee, per ricordarmi di quanto sia importante la libertà. Per darmi una roccia solida su cui appoggiare il piede. Ecco la bellezza di questo quadro. Il nostro è un amore al momento incompleto, tante cose ancora da dirci, ma incondizionato e trova la sua felicità nel mio essere bambino. Ecco qual’era il mio dolore, il voler essere adulti a tutti i costi pronto ad aspettare una chiamata che non mi appartiene. Alla fine io e papà abbiamo sempre giocato come bambini e non siamo mai cresciuti, non siamo mai diventati adulti. Siamo diventati compagni di giochi e complici in nuove sfide. Che siano nei sogni o nella realtà non è necessario capirlo. Questa è la felicità. I bambini sono felici perchè giocano, improvvisano e non sanno crearsi aspettative troppo grandi.

Chi a questo mondo può decidere se devo stare in vita o morire?
Antigone diceva che esistono leggi superiori all’uomo e a tutto alle quali ognuno non può voler sottrarsi. Sangue e amore il nostro. Tutto ruota intorno all’amore.
Giochiamo ancora papà?

Confidenza di Matteo Zanni

link all’intervista uscita su Blogolanda

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3 Responses to “Raccontami una storia. Giochiamo ancora, papà?”

  1. lorella scrive:

    Caro Matteo , quando si hanno dei legami molto forti nemmeno la morte li spezzerà mai e solo le persone che hanno provato questo ti potranno capire , non è facile spiegare La mia nonna mi ha lasciato da poco , 3 mesi , aveva 91 anni , era la mia luce , la mia energia , era viva e attiva , solare , i suoi consigli mi accompagneranno per tutta la vita .La sogno spesso e ho la CERTEZZA che è sempre vicino a me in ogni momento ! Farò tesoro di tutto quello che mi ha insegnato e che ancora mi sta insegnando ! Ciao !!!!!!

  2. Roberto Bagolini scrive:

    Ciao Matteo ciao Tommaso,
    sono un collega di Vs papà il caro Dario ai tempi della Cotelco
    mi chiamo Roberto Bagolini.
    Stavo controllando sul web notizie pattinaggio su ghiaccio e ricordandomi alcune notizie che mi aveva dato Vs zia Laura ho visto il Vs nome.
    Cosa dire ho rivisto la foto sua e mi sono tanto commosso, io in lui e il senior DeCorrado mi affidavo e confidavo ero alla mia prima s esperienza di lavoro.
    Che dire era un collega amico a lui ho confidato tanto, sono stati anni e tempo passati con lui che mi hanno fatto star bene maturare personalmente e anche come esperienza lavorativa.
    Mi ha fatto ricordare tanti momenti, la sua immagine vista da poco.
    Vi abbraccio come avrei fatto con lui.
    Ciao ragazzi
    Un collega di lavoro e amico straordinario

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