La storia di CIP, passerotto caduto dal nido

Cip il passerotto

Grazie al mio lavoro di veterinaria, mi soffermo con interesse ed amore ad osservare gli animali, e soprattutto a cercare di guardare attraverso i loro occhi.
Ogni animale, grande o piccolo che sia, ha una propria storia: commovente, allegra o, purtroppo, triste. Questa che voglio raccontare è, ancora una volta, un elogio alla natura ed ai suoi piccoli abitanti!

Il protagonista è un piccolissimo passerotto, CIP, caduto dal nido e portato in ambulatorio da un bimbo.
Capita spesso che i passerotti alla prima esperienza di volo non riescano nel proprio intento e cadano. Quando sono fortunati, ed in condizioni naturali, la mamma continua a nutrirli fino a quando non hanno nuovamente la forza e la possibiltà di spiccare il volo. Altre volte, soprattutto in città, sono facile preda di randagi o di automobili.
CIP ha avuto fortuna…

Enzo, il bimbo che lo ha raccolto, ha trascorso un intero pomeriggio a correre tra un’auto parcheggiata ed un’altra, per riuscire a prenderlo.
I passerotti sono formidabili in questa manovra di fuga..sembrano bimbi che scappano per non farsi acchiappare da un genitore indispettito.
Ovviamente ne so qualcosa, visto che anche a me è capitato di rincorrerli…E vi assicuro che non e’ cosa semplice!!

Preso il passerottino, Enzo è venuto da me in ambulatorio, stringendolo tra le mani per non farlo scappare.
E’ piccolissimo, praticamente senza piume.
Mi chiede di curarlo perché è caduto dal nido e non può rimetterlo con i fratellini. Non posso fare altro che accoglierlo, pur sapendo che è un tentativo quasi disperato. Organizzo subito una gabbietta ed esco per comprare qualcosa da mangiare per Cip.

Iniziano i tentativi di alimentazione. Con uno stuzzicadenti offro al piccolo uccellino qualsiasi cosa possa andar bene: dal pastone per canarini alle fette biscottate dei bambini, dalla frutta schiacciata, all’acqua somministrata con l’aiuto di una siringa senza ago.
I primi giorni sono difficilissimi..
Ogni mattina temo di non trovarlo vivo, ma fortunatamente mi sbaglio.
Passano i giorni e CIP diventa più grande e si ricopre completamente di piume e penne.

Una mattina mi sveglio sentendolo cinguettare.
E’ giunto il grande giorno…
Devo trovare un luogo sicuro per aiutarlo a spiccare il volo, ma in città non è cosa semplice.
Rimando questo volo per giorni, perché voglio esser sicura che tutto vada bene, poi decido di lasciar scegliere a Cip il suo momento.

Porto la gabbietta fuori al balcone, al sesto piano di un palazzo sito in un parco con un’area verde incolta di fronte, dove ogni giorno vedo gli uccelli beccare le bacche dagli alberi.

Apro lo sportellino e mi allontano. Cip, che ora mangia e beve da solo, fa prima un sostanzioso pranzo, poi piano piano attraversa la porticina e svolazza sulla ringhiera del balcone.

Lo guardo a distanza, sono emozionata e preoccupata allo stesso tempo..se mi fossi sbagliata e non fosse questo il momento giusto lo avrei visto in discesa rapida per sei piani.
Cip è immobile, sembra valutare la situazione. Poi decide… si lancia.
Lo vedo svolazzare per poco, ma perde subito quota ed inizia una rapida discesa. Resto pietrificata, mi si gela il sangue.

Ed ecco il miracolo: un passerotto adulto gli vola incontro, lo prende praticamente sulle spalle e lo riporta in alto. Con una solerte spinta dal basso verso l’alto CIP riprende quota e inizia a volare…da solo.

In quello stesso momento sento un coro di uccellini cinguettare come a voler dare il benvenuto al nuovo abitante del parco..

Non ho più rivisto Cip, ma so benissimo che dal parco ogni mattina mi saluta mentre innaffio le piante del mio fiorito balcone.

Imma Paone
CHI SONO

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7 Responses to “La storia di CIP, passerotto caduto dal nido”

  1. Emanuela scrive:

    anch’io quando avevo 6 anni mi è arrivato un uccellino a casa, mio papà mi aveva fatto un bellissimo regalo.
    in molti dicono che certamente i cani ed i gatti sono più affettuosi degli uccellini. certamente a livello di contatto fisico sì, ma non è sempre vero.
    il mio canarino aveva capito l’ora del mio rientro da scuola e pochi minuti prima del mio arrivo, lui nella sua gabbietta inziava a saltare di qua e di là e ad emettere uno strano suono…mia mamma sapeva che poteva mettere la pasta sul fuoco perchè stavo arrivando.
    se questo non è amore per il proprio padrone…
    ho pianto una settimana intera quando è morto purtroppo una zanzara lo aveva punto nella zampetta e sebbene tutte le cure fatte, lui non è riuscito a sopravvivere. sono passati 30 anni ma il ricordo di quell’uccellino è sempre dentro di me…

  2. cristina scrive:

    Io credo, cara Emanuela,

    che tutti gli animali siano veramente un dono della natura e che, vivendo con il padrone “umano” che li cura con affetto, sanno, a modo loro, ricambiare. Persino i pesci! Ricordi la storia dello strano pesce Testa di leone, che ho raccontato sul Cofanetto?

    Posso capire che tu abbia pianto per la morte del tuo animaletto….

    Ciao, ciao

  3. Imma scrive:

    Secondo me solo verso gli animali si può provare il VERO AMORE, quello incondizionato e sincero come si legge nelle belle poesie d’amore…

    Sono una persona molto fortunata…

    Io ho la possibilità di amare molti piccoli amici, anche se, purtroppo, provo una sofferenza indescrivibile quando non riesco ad aiutarli ..

  4. marni scrive:

    Ti capisco Imma…..Ricordo anni fa mia figlia mi portò a casa un uccellino, forse una cinciallegra e per qualche giorno sono riuscita curarla e darle da mangiare con il contagocce..era dolcissimo e molto grazioso… poi una mattina l’ho trovato steso su di un lato respirava a fatica…poi è morto ed è stato per me straziante vederlo…vedere la vita che se ne va da un esserino così’ piccolo e che conoscevo da così poco tempo… così indifeso… Mi basta pensarci che sento ancor un’emozione fortissima e tanto dispiacere per non esser riuscita a mantenerla in vita..

  5. Imma scrive:

    Sai, nonostante anni di esperienza, ancora oggi quando non riesco a salvare un mio paziente mi sento così male e con dei sensi di colpa incredibili..
    Anche quando addormento per l’ultima volta un paziente in fin di vita mi sento malissimo…mi concedo pochi minuti di silenzio per spiegargli, senza parole, che lo faccio solo x alleviare le sue sofferenze..credo che questo sia doveroso!

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